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Fondamenti di chimica

Un talento “naturale”: il biochar e la depurazione dell’acqua con materiali di scarto

L’acqua è vita. E per proteggerla dall’inquinamento antropico è necessario sviluppare tecniche in grado di abbattere e rimuovere le contaminazioni. L’utilizzo di materiali adsorbenti prodotti a partire da biomasse di scarto, come i biochar, è di sicuro una delle tecniche più promettenti.  

Quanti di noi, aprendo un rubinetto, sono coscienti di come l’acqua potabile, bene così fondamentale, stia diventando una risorsa sempre più preziosa? Questa situazione è dovuta non solo alla crescente domanda di acqua da parte delle attività industriali e agricole e all’aumento della popolazione mondiale, ma anche all’immissione nelle risorse idriche naturali di compositi inquinanti, impiegati quotidianamente nella vita di ognuno noi. Basti pensare come sia ormai frequente il ritrovamento - in corsi d’acqua e bacini idrici - di residui di principi attivi contenuti nei medicinali, di prodotti per la cura personale, di pesticidi, ecc, che vengono immessi negli scarichi, ma che non sono poi rimossi efficientemente dagli impianti di trattamento delle acque. Purtroppo, questa lista di composti inquinanti, definiti contaminanti emergenti, non è per nulla esaustiva e periodicamente si scopre la presenza di nuove sostanze estranee.
Quali rimedi, allora?

Nonostante la soluzione preferibile sia quella di ridurre il consumo e (di conseguenza) il rilascio di queste sostanze in natura, spesso questo non risulta possibile e, pertanto, negli ultimi anni numerosi ricercatori si sono spesi nello sviluppo di tecniche avanzate in grado di abbattere la presenza dei contaminanti emergenti nelle acque. Tra queste, le tecniche di adsorbimento (no, non è un errore di battitura, si parla proprio di adsorbimento per indicare la tendenza di un composto a interagire con la superficie di un materiale, come fosse una calamita) si sono dimostrate efficaci ed economicamente praticabili per rimuovere questi contaminanti.
Ma come funzionano queste tecniche?

Immaginiamo un materiale, appositamente sintetizzato, in grado di funzionare come fosse un “filtro”, trattenendo quindi gli inquinanti. Di conseguenza, i contaminanti emergenti vengono rimossi con successo. Ma non è tutto! Alcuni di questi materiali adsorbenti sono anche in grado di interagire con la radiazione solare, promuovendo la degradazione (e quindi la distruzione) degli inquinanti precedentemente trattenuti, e così rigenerandosi per poter essere riutilizzati più volte. Questi materiali possono anche essere prodotti a partire dagli scarti! Si tratta dei cosiddetti biochar (di cui ci ha parlato Marco Ginepro): materiali porosi che derivano dal trattamento termico delle biomasse di scarto, come per esempio residui di legno, sfalci verdi, letame e fanghi, che diventano nuove materie prime (come auspicato dai principi dell’economia circolare). Ed è proprio di biochar che ci occupiamo nel nostro gruppo di ricerca, indagando quali siano le migliori condizioni da impiegare nella loro produzione (ad esempio la temperatura di combustione, la composizione della biomassa, ecc), per favorire la migliore interazione con gli inquinanti di cui studiamo la rimozione in laboratorio.

È facile quindi capire il potenziale dei biochar, in grado di avere un duplice scopo: la purificazione delle risorse idriche, e al contempo, il reimpiego di biomasse di scarto provenienti da numerose realtà produttive. Se poi ci aggiungiamo il fatto che, data la loro composizione, questi materiali risultano essere anche fino a dieci volte più economici dei materiali attualmente impiegati nella depurazione delle acque, non resta altro che continuare a esplorare questo mondo sperando di renderli sempre più efficienti e competitivi e vederli impiegati a breve in tutti gli impianti di trattamento.


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