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Studio del passato dell'umanità

Diventare visibili: le donne africane al centro della storia globale

L’imperatrice Taitù (con weyzero Jeseimmabiet e altra donna di corte) in Raccolta Bertolani III. 2, Collezione fotografica dell’IsiAO, Biblioteca Nazionale Centrale 'Vittorio Emanuele II' di Roma.

La storia dell’Africa è stata a lungo negata, poi spesso circoscritta al momento coloniale e postcoloniale, e infine marcata da una narrazione al maschile. Si tratta, invece, di una storia di lunga durata in cui le donne sono state attrici e protagoniste della politica, della cultura, dell’economia e della trasmissione del sapere. La ricerca storica africanista lotta, tuttavia, per farsi strada tra delle narrazioni dominanti coloniali e maschili.

Nel condurre una ricerca sulla storia delle donne in Africa ci troviamo davanti a un primo paradosso: dapprima si osserva un’iper-esposizione dei corpi delle donne africane nell’iconografia coloniale, ma poi si nota rapidamente la loro invisibilità negli archivi coloniali e nazionali, oltre che, di conseguenza, anche nei manuali di storia. I ritratti sensuali, e spesso erotici, delle donne africane nelle colonie italiane in Africa nordorientale hanno molto in comune con altri territori coloniali - sotto la colonizzazione francese e britannica - dove si assiste a una proliferazione di immagini di corpi femminili, la cui storia e identità ci è però ignota. Eccoci, così, a fare i conti con una moltitudine di immagini di donne delle quali conosciamo solo il corpo.

La ‘biblioteca coloniale’ (Valentin Mudimbe, The Invention of Africa, 1988) ha partecipato alla costruzione di immaginari esotici ed erotici dei corpi femminili dei territori d'Oltremare. Tuttavia, la ricerca storica contemporanea ha affinato degli strumenti metodologici capaci di andare oltre a una mera decostruzione degli immaginari. Si è così sviluppato un vasto campo di ricerca che ha permesso di mettere in luce le cause dell'invisibilità delle donne africane nella storia globale. La loro invisibilità in una storia di lunga durata è solo uno degli effetti delle discriminazioni multiple alle quali sono sottoposte molte donne africane della diaspora in Italia, così come in Europa e negli Stati Uniti (Crenshaw 1990; Mohanty 1988).

Porre al centro di una ricerca di storia globale queste attrici permette non soltanto di esplorare la complessità del loro ruolo storico, come autorità politiche, militanti, lavoratrici, madri, missionarie, schiave o padrone, ma anche di operare un vero cambiamento epistemico capace di mettere sotto una nuova luce dei processi storici globali: dall'epoca delle grandi esplorazioni e delle tratte degli schiavi al periodo dell'abolizionismo e la corsa alla spartizione coloniale europea, fino all'emergere di movimenti anti-coloniali e nazionalisti. Come ripercorre una storia di lunga durata mettendo al centro di questi grandi eventi della storia l'esperienza e il vissuto delle donne?

Per le personalità politiche - dalle regine dei grandi imperi africani alle leader dei movimenti nazionalisti - il materiale documentario non manca. I missionari gesuiti, ad esempio, hanno lasciato dei documenti preziosi per ripercorrere la storia di una “regina-guerriera” angolana come Njinga Mbandi (1583-1663, Angola), ma anche di una profetessa e martire del conflitto con i portoghesi, come Kimpa Vita (1684-1706, Congo). Inoltre, anche i testi religiosi nelle lingue africane vernacolari in caratteri arabi o in geeez, ce ne restituiscono la storia: da Wälättä Peṭros (1592-1642, Etiopia), una santa della chiesa cristiana etiopica, a Nana Asma'u (1793-1865, Nigeria), poetessa, insegnante e dotta musulmana, figura chiave nel movimento di risveglio islamico nel Sahel. Per altre possiamo fare ricorso alle fonti visuali come la fotografia - fino ad allora strumento esclusivo dell'egemonia coloniale - della quale si sono appropriate attivamente per affermare una visione di sé e imporsi come referenti di primo piano nella diplomazia e nelle relazioni internazionali. Pensiamo anche alle relazioni con l'Italia della prima metà del XX secolo di personalità come la regina Taitù Betul (1844-1918, Etiopia) e la “regina senza corona” dell'Eritrea coloniale, Sitti Alawiyya (1892-1940, Eritrea), alla quale ho dedicato una monografia disponibile qui

Una grande risorsa è offerta dall’approccio biografico, che permette di seguire le tracce frammentarie e disperse, a livello spaziale, delle traiettorie di vita di attrici eccezionalmente-normali la cui memoria riverbera al di fuori degli archivi pubblici, negli archivi familiari e nelle collezioni private. Gli archivi sonori e la musica giocano un ruolo altrettanto importante. Pensiamo, ad esempio, a Sitti bint Saad (1880-1950, Zanzibar), una cantante impegnata nel denunciare i temi delle disuguaglianze sociali, e che divenne la voce di Zanzibar, ottenendo una fama internazionale negli anni 1920-1950. Il valore giornalistico dei brani di Siti fu riconosciuto - decenni dopo la sua morte - quando la Tanzanian Media Women s Association iniziò a pubblicare il primo giornale femminista nazionalista nel 1988 scegliendo come nome proprio Sauti ya Siti (“la voce di Siti”).

La direttiva di ricerca privilegiata ci conduce a moltiplicare, diversificare e incrociare delle fonti estremamente eterogenee (audio, visuali, letterarie e sonore) al fine di osservare delle dinamiche sociali più ampie, come la storia della schiavitù, delle mobilità e del lavoro, la storia della medicina, della maternità e dell’educazione; le mobilitazioni collettive e la partecipazione femminili ai processi di costruzione nazionale. 

Adottare una scala di analisi micro permette di dare un nome e ripercorrere le storie delle tante soggettività femminili che hanno marcato, non solo la storia del continente africano, ma anche la storia globale, dall’epoca moderna alle indipendenze degli anni Sessanta. Infine, la scrittura autobiografica, per le femministe africane degli anni Sessanta, fu uno strumento militante, come nel caso di Aoua Keïta (1912-1980, Mali), la prima donna deputata in Mali. Ostetrica, scrittrice, militante femminista e sindacalista maliana, Aoua Keïta fu infatti autrice dell’autobiografia “Femme d'Afrique : la vie d'Aoua Kéita racontée par elle-même” pubblicata nel 1975. 

Questo lavoro ha approfittato dei ricchi e vivaci confronti interni al gruppo di ricerca Genre, corps, subjectivités dell’Institut des mondes africains (CNRS/Paris 1) e sarà pubblicato nella collezione speciale di Storia delle donne e di genere della Società Italiana delle Storiche.


IMMAGINI

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Silvia Bruzzi
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

27 gennaio 2023

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