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Studio del passato dell'umanità

In piazza disobbedienti e creativi. I giovani che nutrono la democrazia in India

Foto: Bikas Das/AP

Il Movimento per la ricostruzione del 1973 in India, che fa parte del mio campo di studi, mi offre lo spunto per ripercorrere le forme della protesta di massa in India che, ricorsive nel tempo, sono spesso promosse dagli studenti universitari in modalità originali e non violente.

Spesso definita come la più grande democrazia del mondo, l’India post-coloniale ha attraversato momenti di grande partecipazione democratica alla vita pubblica, ma ha conosciuto anche fasi di grande repressione, intolleranza e violenza da parte del potere politico, accompagnati però sempre da importanti esempi di proteste di massa. Mobilitazioni che in molte occasioni sono partite dalle università - e quindi dai giovani - per poi allargarsi fino a coinvolgere ampi settori delle classi medie urbane.

Quando, il 25 giugno 1975, Indira Gandhi dichiarò lo stato d’emergenza, sospendendo la maggior parte dei diritti civili e politici e avviando una vera e propria dittatura, il paese era scosso da movimenti di protesta per via delle promesse di sviluppo non realizzate e della corruzione dilagante. Una delle scintille più significative della protesta fu il Nav Nirman Andolan (Movimento per la ricostruzione), che dall’inizio del 1974 coinvolse migliaia di studenti e cittadini in manifestazioni e iniziative contro il governo locale del Gujarat, portando nel giro di due mesi alle dimissioni del governatore Chimanbhai Patel, un fedelissimo di Indira. E se le proteste si tradussero in più occasioni in scontri violenti con la polizia, uno degli aspetti più interessanti fu la creatività, sicuramente dovuta alla componente giovane dei movimenti, nel cercare forme efficaci e visibili di azione. Per esempio, per protestare contro la corruzione in politica organizzarono una marcia di 139 pecore nella città di Ahmedabad, una per ogni parlamentare. Una pratica diffusa era poi quella del gherao: i manifestanti si accampavano per giorni attorno alle abitazioni dei parlamentari in una sorta di “assedio” pacifico per costringerli a dimettersi.

Queste vicende sono importanti non solo per la loro portata politica, ma perché permettono di capire i modi e le forme della protesta di massa in India, in atto di nuovo ai giorni nostri. Infatti, da quando il governo è retto da Narendra Modi, esponente della destra fondamentalista hindu e leader politico dai metodi “forti” e repressivi, spesso confusi per efficienti, è in corso una fase di mobilitazione su larga scala e di scontro anche violento. Se un certo fastidio verso i meccanismi e le lentezze decisionali della democrazia è forse l’unica somiglianza tra i due leader politici coinvolti, Indira Gandhi e Modi, per altri aspetti il periodo di Emergency (1975-1977) presenta alcuni parallelismi con la situazione di oggi.

Per quello che riguarda i giovani, le loro motivazioni e il loro modo di protestare, essi esprimono la richiesta di rispetto delle garanzie costituzionali, messe fortemente in discussione dal fondamentalismo hindu del governo, che mira a limitare l’accesso ai diritti di cittadinanza per i musulmani. Da quando sono iniziate le proteste, nell’autunno del 2019, gli studenti universitari di tutto il paese hanno dimostrato grande coraggio nel fronteggiare le azioni repressive e spesso violente delle forze dell’ordine, nonché grande caparbietà nell’affermare i principi costituzionali e nel difendere il pluralismo, uno dei tratti caratterizzanti della democrazia indiana in cui gruppi linguistici e religiosi diversi, così come diverse tradizioni, storie e culture, convivono e godono di una sistema che ne garantisce la rappresentanza e le difesa.

È nei momenti di maggiore repressione che la forza della protesta offre uno spunto per pensare all’India come a un paese democratico. Soprattutto grazie ai giovani.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Tommaso Bobbio
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

18 febbraio 2020

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