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Culture, Produzione culturale e artistica, Filosofia

Il ligustro della discordia. Traversie in prima persona di una pianta cittadina

Il racconto propone la testimonianza di un ligustro che si è trovato casualmente a vivere in città, e ha dovuto affrontare grandi difficoltà determinate dal conflitto tra il suo legittimo desiderio di ambientarsi e di essere rispettato e le esigenze di un gruppo di severi condomini alleati ai suoi danni.

Mi occupo di teoria della narrazione. Negli ultimi anni mi sono dedicata in particolar modo alle scritture in prima persona, ovvero a quelle forme di rappresentazione dell’io che in passato venivano chiamate autobiografie e che oggi, nell’era dell’instabilità identitaria, si sono moltiplicate specializzandosi. Dalla ben nota autofinzione, ad altre come l’eterografia (racconto dell’io per interposta persona), l’esofinzione (svelamento dell’io attraverso una storia altrui), il romanzo dell’io (storia inventata a partire da un’esperienza vissuta dall’io). Scritture in cui non è più un principio di esatta corrispondenza tra i fatti e il loro resoconto a essere determinante, ma è la porzione di reale testimoniata che conta.

Nel racconto di cui qui propongo l’inizio - che utilizza le risorse di queste forme di scrittura - il reale che necessita di testimonianza è quello di un ligustro a cui è toccato vivere in un giardinetto condominiale, e che si è trovato a dover far fronte all’insensibilità di un gruppo umano deciso a sopprimerlo in nome di un presunto conflitto con l’incolumità di certe automobili.

La giovane pianta, di cui riporto l’esperienza dandole voce perché è importante che ciò che le accade non sia taciuto, direbbe dunque all’incirca così: “Credo di essere un ligustro, anche se non ne ho la certezza matematica. Guardando l’immagine, ognuno di voi potrà farsi un’idea personale. Sono arrivato al numero 3 di un frequentato corso di Torino, in un giardinetto pensile al primo piano, quando ero molto piccolo. Lei me l’ha ripetuto un sacco di volte, dice che prima non c’ero e poi di colpo ci sono stato. Depositato lì da qualcuno, in vena di poesia lei dice che mi ha portato il vento. E io un bel giorno ho cominciato a spingere i miei rami verso l’alto. Sì, per far capire che non ero più una piantina e che bisognava pur accorgersi di me, volere o no.
Da lì in poi, è stato tutto un crescere. E siccome nel frattempo era pure venuta la tarda primavera, mi son trovato a fiorire senza che neanche sapessi cosa vuol dire. Una cosa impressionante. Un’infinità di piccoli ciuffetti bianchi profumatissimi. Ma così tanto che dentro di me mi dicevo: stomachevole! E invece lei si estasiava, e appena le capitava a tiro qualcuno era tutta un “senti che roba”, “una delizia”, “ma è fantastico”, “chi l’avrebbe mai detto”.
Poi però ha cominciato a piovere. Il giardinetto in cui abito, lo ripeto per i distratti, è pensile. E sotto ci sono dei garage, quei parallelepipedi vuoti in genere tutti grigi dove si ripongono le auto per riempirli. Quando sono arrivate le piogge, nei garage sotto il giardinetto ha iniziato a filtrare dell’acqua. E le auto dentro ai garage si sono bagnate. Apriti cielo. Cioè, si era già aperto, l’ho detto. Sembra che le auto se si bagnano patiscono. Non come noi, le piante, che se ci bagnano, o insomma se ci bagniamo, ci fa tantissimo bene. Le auto pare che poi non funzionino più. Non so se ho capito bene, forse funzionano lo stesso ma diventano brutte. Una cosa del genere. E allora i proprietari di quelle macchine si sono messi a fare delle furie. Fu guerra aperta. Disordini, manifestazioni, adesioni di terzi, chi alla causa degli automobilisti, chi a quella dei ligustristi. L’opinione pubblica si spaccò in due. Dovettero intervenire dei tessitori, quei personaggi, storicamente riconosciuti, che in occasioni come questa cercano di trovare una soluzione di compromesso. I quali tessitori proposero di delocalizzarmi. Sarei stato espiantato e immediatamente ripiantato ma dentro a un vaso. Grande eh, un vaso da re. Ma pur sempre un vaso. L’operazione avvenne di notte, per prendere di sorpresa il gruppo di quelli che avrebbero voluto, soluzione drastica, abbattermi tout court.
A trapianto effettuato, svettavo nel buio con i miei ramoscelli impauriti ma salvi. Spostato, con tutto il mio vaso che da allora mi fa da alloggio, in un altro settore del giardino. Al posto mio, cioè là dove prima affondavo felicemente le radici, hanno colato qualunque cosa, e prima hanno usato una specie di martello pneumatico, fatto voragini, scalpellato, spaccato, indotto terremoti, sventrato e riventrato. Sostennero che era per il bene comune. Ovvero delle automobili”.

Le sue traversie, e quelle che vennero poi, il ligustro le può per fortuna ancora raccontare. Anche se lì, nel vaso, sta allo stretto, e patisce. Ciò nonostante ospita uccellini, in particolare uno, che è diventato amico suo, e di lei.



IMMAGINI

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Gabriella Bosco
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

01 luglio 2020

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