Brand
Culture, Produzione culturale e artistica, Filosofia

Di Luna, sole e divinità antiche. Questioni di lingua e di generi


In italiano la luna è di genere femminile, il sole invece è maschile. In altre lingue europee si ha l'inversione di maschile/femminile quando ci si riferisce a questi astri che da sempre accompagnano gli esseri umani. Da cosa dipende questa differenza? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Ferrarotti, ricercatore post dottorato del progetto ALEPO

Lorenzo, c'è un comportamento che accomuna le lingue europee, sul genere assegnato a sole e luna?
Per comprendere meglio la questione occorre chiedersi che cosa sia davvero il genere grammaticale. Charles Hockett (1958) lo definisce “una classe di nomi che si riflette in parole associate”. Per esempio tavola, pece e mano, pur appartenendo a “classi flessive” diverse, sono tutte di genere femminile perché concordano con parole associate, come articolo e aggettivo (una tavola lunga, la pece nera, la mano fredda). Ovviamente in queste parole non vi è nulla di maschile o femminile e, in effetti, il genere grammaticale in italiano corrisponde al sesso “biologico” solo se l’oggetto a cui si riferisce una parola, il referente, è un esser umano. Il sistema dell’italiano è infatti solo in parte motivato da questioni semantiche, cioè legate al significato delle parole. Quindi il genere di luna in italiano, così come quello di sole, è dovuto non tanto alla semantica, quanto all’origine di queste parole, che è la stessa in tutte le lingue romanze derivanti dal latino in cui luna e sole sono rispettivamente di genere femminile e maschile; così in francese abbiamo lune, soleil; in spagnolo luna, sol; in rumeno lună, soare; ecc.
Nelle lingue germaniche la situazione è ribaltata: in tedesco, ad esempio, la luna è maschile (der Mond), ma il sole è femminile (die Sonne). Anche in questo caso il genere è ereditato dalla lingua “madre” delle lingue germaniche, che non è attestata ma solo ricostruita (il “protogermanico”), in cui si ha *menan- (m.) ‘luna’ (collegato etimologicamente alla parola per ‘mese’) e *sunnon- (f.) ‘sole’. Il genere di queste parole nelle lingue di oggi dipende quindi dalle lingue antiche da cui discendono.

Cosa si può dire allora, andando indietro nel tempo, delle lingue antiche, come il citato latino e il protogermanico?
La parola per luna nelle lingue germaniche non dà grandi problemi, poiché la sua origine è chiara: ha la stessa etimologia dell’italiano mese. Negli altri casi, invece, l’assegnazione dei generi nelle lingue antiche è una questione complessa che meriterebbe di essere studiata in ottica comparativa. La parola per sole ha la stessa origine, sia in latino sia in proto-germanico, poiché derivano entrambe dal protoindoeuropeo, una lingua ricostruita dai linguisti a partire dal XIX secolo, da cui discendono anche il greco e le lingue celtiche, slave, baltiche, indoiraniche e l’armeno, più altre oggi scomparse. Curiosamente, questa parola in protoindoeuropeo doveva essere di genere neutro - e vi è traccia di questo in gotico, una lingua germanica estinta - ma in latino passa al maschile e, nel protogermanico, al femminile, peraltro con una variazione morfologica rilevante. Anche luna in latino e nelle lingue italiche antiche è un caso interessante: si può ricostruire una forma più arcaica *louksna, di origine indoeuropea: il suo significato è ‘brillante, scintillante’ (ha la stessa origine di lux, ‘luce’) ed è in origine un epiteto della luna. Un caso simile si ha nel greco antico selene, che è una parola diversa ma formata nello stesso modo (da selas ‘luce’, ‘splendore’).
Per quanto sia difficile rintracciare le particolarità lessicali e morfologiche di una lingua ricostruita come l’indoeuropeo, sarebbe molto stimolante studiare queste variazioni nel genere dei corpi celesti: perché nel caso di sole c’è un’oscillazione così significante? E perché in latino (e in greco) la luna è denominata con un epiteto femminile?

Tornando invece alle lingue moderne, come si comportano le lingue non europee riguardo al genere assegnato a Luna e Sole?
Diverse lingue non europee hanno dei sistemi di genere anche molto distanti da quelli a noi più familiari, sia per i criteri con cui il genere è assegnato alle parole (che può essere puramente o parzialmente semantico come in italiano, carta WALS 32A) sia per il numero di generi presenti (carta WALS 30A). Addirittura molte lingue non hanno alcun tipo di genere, come l’ungherese, il finlandese, il turco, il basco. Altre lingue invece possono avere anche più di cinque generi (carta WALS 31A). Lo swahili, per esempio, ha almeno sette generi, ottenuti dall’incrocio di più classi nominali marcate con prefissi sui nomi e sui verbi tramite l’accordo. Essi sono assegnati in base a criteri in parte semantici e in parte formali, ma mai in base al sesso del referente. La parola per “luna” (e “mese”), m-wezi, appartiene al genere degli inanimati definito “3/4”, cioè delle parole che al singolare hanno un prefisso m-, al plurale mi- e sul verbo un accordo di tipo u-/i-. Si avrà: m-wezi u-natoka “la luna sorge (esce)”. Una parola della stessa classe flessiva 3/4 che però è animata, come m-jusi “lucertola”, si comporterà come un nome della classe 1/2 (m-/wa- sui nomi, a-/wa- sui verbi): non si dirà *m-jusi u-natoka “la lucertola esce”, ma m-jusi a-natoka.

Spesso al sole e alla luna sono state associate delle divinità, quasi una personificazione degli astri. In quali casi il genere si può collegare alla mitologia?
Pur trattandosi di una questione non del tutto chiara per le lingue europee, è possibile che la mitologia abbia “estratto” dal genere delle parole il sesso della divinità. Alla luna, femminile in latino e in greco, vengono associate divinità femminili (Selene, Artemide, Diana, ecc.), mentre le divinità che rappresentano il sole di solito sono uomini (Helios, Apollo). Nella mitologia nordica incontriamo invece il dio Mani, che traina il carro con la luna, mentre sua sorella Sol è la dea del sole.
In altre lingue il collegamento del genere di sole e luna con il loro status di divinità è molto più chiaro. In Tamil, una lingua dravidica dell’India meridionale, che ha un sistema di assegnazione del genere rigidamente semantico (con tre generi: maschile, femminile, neutro), “luna” e “sole’” sono di genere maschile, poiché a essi sono associate due divinità maschili. Anche in una lingua isolata come il Ket, parlata in Siberia, è presente un meccanismo simile e luna e sole sono rispettivamente maschile e femminile, per via di associazioni con le divinità.
Ma uno dei sistemi di genere più affascinanti appartiene al Dyirbal, una lingua aborigena australiana studiata da Robert M. W. Dixon (1972). Qui i nomi sono suddivisi in quattro generi: I (bayi), che include umani maschi e animali; II (balan), include umani femmine, acqua, fuoco, combattimento; III (balam) il cibo, carne esclusa; IV (bala) raccoglie tutto ciò che non è nelle altre classi. Nelle varie categorie possono entrare elementi che non ne farebbero parte in base a questa suddivisione: ad esempio, le lance e il filo usato per pescare sono nel genere I, perché associati ai pesci, che sono animali. Nel genere II viene inserito tutto ciò che può essere considerato pericoloso come alcuni animali, o le lance per combattere. Un altro criterio per assegnare il genere è l’associazione con figure mitologiche: per esempio gli uccelli sono in II perché si ritiene che siano spiriti di donne morte. E gli astri? Le stelle sono associate al fuoco, quindi sono in II, ma non il sole e la luna, che considerati marito e moglie nella mitologia e quindi sono inseriti rispettivamente in II e I. Questo tipo di ripartizione del genere è del tutto eccezionale e riflette un tipo di classificazione delle cose che, seppur apparentemente bizzarro, è funzionale all’esperienza del mondo dei parlanti Dyirbal. Il linguista George Lakoff è rimasto colpito a tal punto da questa lingua che ha intitolato un suo libro Women, Fire and Dangerous Things, per sottolineare l’importanza che le categorizzazioni e le associazioni metaforiche hanno nel linguaggio e nei processi cognitivi in generale.

Bibliografia
Corbett G. G. 1991, Gender, Cambridge University Press, Cambridge.
De Vaan M. 2008, Etymological Dictionary of Latin and the Other Italic Languages, Brill, Leiden.
Dixon R. M. W. 1972, The Dyirbal Language of North Queensland, Cambridge University Press, Cambridge.
Hockett C. F. 1958 A course in modern linguistics, Macmillan, New York.
Kroonen G. 2012, Etymological dictionary of Proto-Germanic, Brill, Leiden.
Lakoff G. 1990, Women, Fire, and Dangerous Things: What Categories Reveal About the Mind, University of Chicago Press, Chicago/London.


Questa storia di ricerca si trova in:


Intervista a

Lorenzo Ferrarotti
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

A cura di

Redazione FRidA
Pubblicato il

17 luglio 2019

condividi

potrebbero interessarti anche