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La mente umana e la sua complessità, Educazione e Linguaggio

Tanto spazio…poca forza! Prevenire i danni muscolari nelle missioni spaziali

Samantha Cristoforetti al rientro a Terra 

La vita nello spazio e l’assenza di gravità causano effetti sul nostro organismo che, dal canto suo, tenta di adattarsi al cambiamento. Nel caso specifico del sistema neuromuscolare sono state messe in atto contromisure che possono offrire interessanti applicazioni anche sulla Terra.

La vita dell’astronauta, con la possibilità di fare voli spaziali magari alla ricerca di nuovi mondi in cui stabilirsi, ci ha da sempre affascinati. Eppure è una professione non priva di rischi, da prevedere e contrastare opportunamente. Non può essere escluso, per esempio, il rischio di un incidente drammatico come successe al Challenger nel 1986 che prese fuoco poco dopo il lancio a causa di una guarnizione mal progettata e di una incapacità umana a gestire l’emergenza. Vi è così un impegno continuo nella manutenzione della Stazione Spaziale, nella messa in sicurezza di attività extraveicolari, nella realizzazione di numerosi esperimenti scientifici a gravità zero.

L’assenza di gravità induce una serie di adattamenti sull’organismo, via via più importanti in funzione della durata del viaggio: dai pochi giorni delle spedizioni Apollo, ai 5-6 mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), agli anni previsti per il futuro post Marte, tali effetti devono essere opportunamente contrastati. In assenza dell’atmosfera terrestre il corpo degli astronauti viene attraversato e danneggiato da radiazioni ionizzanti ad alta energia; la permanenza in un ambiente privo di germi e batteri indebolisce le difese immunitarie richiedendo, al rientro a terra, un periodo di quarantena; la mancanza di gravità e quindi di una direzione privilegiata (alto-basso) fa si che nello spazio ogni cosa non rigida tenda ad assumere una forma sferica: la faccia si gonfia, i liquidi del corpo si ridistribuiscono, il corpo tende ad assumere una posizione neutra, quasi orizzontale, inclinata dal lato della testa.

Alcuni di questi effetti negativi riguardano specificamente il sistema neuromuscolare, mio campo di ricerca: i muscoli antigravitari che mantengono il corpo in posizione eretta, non essendo necessari nello spazio, si atrofizzano per primi. Di conseguenza, al ritorno sulla Terra, gli astronauti non riescono a stare in piedi, si affaticano moltissimo e devono muoversi su sedie a rotelle per un lungo periodo di riabilitazione. Per cercare di prevenire questo danno muscolare diversi progetti NASA e ESA/ASI negli anni hanno ideato vari protocolli di allenamento sulla ISS basati sull’uso di elastici, di stimolazione elettrica, di speciali tapis roulant o altri macchinari in grado di generare una forza da contrastare per poter generare attività fisica e quindi allenamento.
Nell’ambito di Hexec, un progetto a cui hanno collaborato UniTO, PoliTO, IIT e aziende private, è stato realizzato un esoscheletro della mano per aiutare l’astronauta ad afferrare oggetti aggiungendo forza alla sua, limitata a causa della tuta spaziale indossata. Il sistema è comandato dai segnali elettrici registrati sulla pelle e prodotti dal sistema nervoso durante l’intenzione di movimento, e ed è in grado di realizzare la contrazione voluta così come il servosterzo dell’auto aiuta il guidatore fornendo una coppia nella direzione desiderata. L’utilità di questo dispositivo però non resta al di là dell’atmosfera: uno strumento del genere potrebbe per esempio essere usato da persone affette dalla sindrome del tunnel carpale, che ha un indice diffusione fino al 20% in alcuni ambienti di lavoro, e che impedisce di tenere in mano un bicchiere d’acqua o di usare autonomamente le chiavi per aprire una porta.
In altre parole migliorando la qualità di vita sulla ISS possiamo migliorare anche la qualità della vita sulla Terra!


IMMAGINI

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Alberto Rainoldi
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

15 luglio 2019

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