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Popolazione, Geografia e Sviluppo urbano

Serre e foreste nel deserto. Il "miracolo" che attraversa Negev e Mar Morto

Israele. Foto: Benjamin Rascoe / Unsplash

Ritrovare bacini d’acqua “spariti” nella roccia dopo la pioggia torrenziale e coltivare ortaggi e frutta in pieno deserto cocente, cioè in territori apparentemente maledetti da Dio. Non si tratta di miracoli, ma di una visione che, liberatasi da pregiudizi morali millenari, ha fatto di una forte limitazione allo sviluppo una fonte di nuova ricchezza. Il segreto? Una mirata - e geniale - progettazione del paesaggio.

Sul fronte della gestione estremamente parsimoniosa della risorsa idrica nel campo delle produzioni agrarie e della gestione del verde pubblico, il riferimento di maggior importanza a livello internazionale è rappresentato da Israele. L’analisi delle realizzazioni in questo territorio costituisce la premessa indispensabile ad una sperimentazione di queste metodologie sul territorio italiano, da realizzare da parte di Unito.

Pur essendo un territorio decisamente ridotto, nei suoi 500 km di lunghezza si trovano almeno 4 o 5 scenari climatici assai diversi tra loro. Tra questi, a sud, vi è il deserto (Negev). Questa regione si articola su due zone climaticamente diverse: l’altopiano a occidente e l’Aravà a oriente, valle profonda che congiunge il Mar Morto e il Mar Rosso. Sull’Altopiano la piovosità è scarsa (200-250 mm /anno), però cadendo in brevi periodi e con andamento tempestoso, genera inattese e pericolose piene negli wadian (torrenti desertici). Sono precipitazioni torrenziali che si esauriscono in poche ore, ma l’acqua caduta viene convogliata e resta raccolta in preziose falde sotterranee.

È partendo dalla conoscenza di questi fenomeni che il Keren Kayemeth LeIsrael, la più antica organizzazione ecologica al mondo, ha acquisito la tecnica per estendere anche al Negev la politica di imboschimento praticata nel resto del Paese. Malgrado l’aridità dell’ambiente in superficie, nel sottosuolo si costituiscono falde acquifere, che possono essere sia utilizzate, sia arricchite d’acqua grazie alle limitate, e per questo preziose, precipitazioni. Governando correttamente le zone d’ impluvio in modo da evitare sia l’erosione sia la dispersione, le acque delle precipitazioni vengono concentrate verso zone limitate da cui scendono nel sottosuolo formando bacini sotterranei di raccolta. Sistemazioni opportune dei terreni in superficie favoriscono tali accumuli di acqua nel sottosuolo, rendendo possibile l’impianto di grandi quantità di alberi scelti appositamente perché siano capaci di allungare le radici verso tali riserve d’acqua, crescendo fino a diventare foreste. La presenza di foreste abbassa la temperatura e aumenta la piovosità, e crea un circolo virtuoso. L’impianto, come quello vicino a Meitar, nel Negev settentrionale, produce per il villaggio uno spazio di salubre ricreazione e migliora l’ambiente di tutta l’area.

Pochi chilometri a ovest, il terreno scende fino a oltre 400 metri sotto il livello del mare: siamo a sud della riva meridionale del Mar Morto, dove sorgeva la città di Sodoma. L’area, distrutta dall’eruzione narrata dalla Bibbia, è rimasta per millenni come tragica testimonianza “dell’ira del Signore”. Pietre e sabbia infuocate dal sole sono tutto ciò che rimane di quel territorio. In anni recenti però qualcuno ha pensato di volgere in bene anche la maledizione. Liberandosi dalle considerazioni morali, ci si è resi conto che il caldo (anche se infernale) ha un valore economico, specie d’inverno: perché dunque non utilizzarlo per l'agricoltura? Come? Con le serre! Ma visto che quelle tradizionali cuocerebbero qualunque essere vivente al loro interno, anziché impiegare teli trasparenti si sono utilizzate coperture di tessuto-non-tessuto (TnT). Essendo di colore bianco questo riflette il sole e soprattutto il calore cosicché all’interno del tunnel la temperatura è alta, ma senza eccessi. La fittezza del TnT ostacola e limita gli scambi gassosi tra l’interno del tunnel e l’esterno desertico che è arido e soprattutto povero di umidità. Inoltre, anche quando in altri siti del Paese soffiano i gelidi venti settentrionali, nella valle dell’Aravà il calore non manca e, ancorché filtrata dal TnT, la luce è abbondante. L’atmosfera non è troppo secca, permettendo una schiusura precoce delle gemme degli alberi da frutto. A metà aprile la raccolta dei peperoni è piena e abbondante e gli alberi di albicocco, opportunamente potati per essere contenuti nel tunnel, portano già i frutti ben formati, avviati alla maturazione. L’irrigazione è praticata con i gocciolatoi che permettono l’impiego di acqua anche se salmastra (come è molta di quella che si trova nel sottosuolo di quell’area) e i pomodori allungano i tralci (ricoperti di fiori e frutti) per una lunghezza che raggiunge i 12 metri.
Data la località, e la storia pregressa, ci si chiede: è un patto col diavolo o il Signore ha perdonato il suo Popolo?

All’Università di Torino, in particolare presso il DISAFA, stiamo imparando da questo approccio di manutenzione del verde volto al contenimento dei consumi idrici - detto xeriscaping - cercando di applicarlo a realtà locali. Ne sono nati progetti volti a ricoprire di verde tetti e pareti in contesti urbani, con effetti soddisfacenti per la regolazione del clima in città e sul piano estetico.


IMMAGINI

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Roberto Jona
Marco Devecchi
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

15 marzo 2021

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