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Il senso della pace e la logica antidemocratica della guerra

Foto: Unsplash.

Qual è il senso del principio pacifista? E, in particolare, cosa implica in relazione alla guerra in Ucraina? E, ancora, qual è l’impatto della guerra sulla democrazia? Sono domande tragiche che attraversano il presente e ipotecano il futuro e che evocano - nella prospettiva di una costituzionalista - temi fondamentali.

La nostra Costituzione, nel costruire una democrazia sancisce il principio pacifista, rinnegando e rifiutando il fascismo con la sua violenza, la sua guerra di aggressione, la sopraffazione, la violazione dei diritti.

L’articolo 11 «ripudia» con forza la guerra (il verbo fu scelto dai costituenti rispetto a “condanna” e “rinunzia” perché più “energico”), ammettendo unicamente la guerra di legittima difesa (in coerenza con lo Statuto delle Nazioni Unite che, nell’intento di «salvare le future generazioni dal flagello della guerra», prevede, all’art. 51, il solo diritto di autotutela e precisa «fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale»).

Legittima difesa è quella del popolo ucraino. È legittima difesa inviare le armi? A parere di chi scrive, no, perché contrasta con l’art. 11 Cost.; così si fomenta - e un anno ormai di guerra lo dimostra - la guerra, si partecipa ad una guerra per procura, ovvero per interposta persona. Non si tratta di «difesa della Patria» (art. 52 Cost); né si può ragionare di ottemperanza a obblighi internazionali, che non possono derogare al ripudio della guerra: l’adesione alla Nato - al di là del fatto che l’Ucraina in ogni caso non è né membro dell’Unione europea né parte della Nato - è legittima, sulla base di un trattato internazionale (non dell’art. 11 Cost.), fintantoché la Nato è un’alleanza difensiva, solo difensiva.

I principi guida nelle relazioni internazionali sono la pace e la giustizia fra le Nazioni, gli obiettivi che attraversano trasversalmente le tre proposizioni dell’articolo 11 della Costituzione e fondano la partecipazione dell’Italia alle Nazioni Unite. La via, dunque, è agire con determinazione per una soluzione pacifica, per una conferenza internazionale di pace, che metta fine al più presto alle sofferenze degli ucraini.

Ma la guerra impatta anche sulla democrazia. Come osservava Calamandrei: «la dottrina democratica non è fatta per arrestarsi e per concludersi alle frontiere nazionali. È verità ormai troppe volte tragicamente scontata che totalitarismo e dittatura all'interno significano inesorabilmente nazionalismo e guerra all’esterno»; e viceversa, possiamo aggiungere. Il discorso pubblico e la democrazia con la guerra divengono oggetto di un governo degli assoluti: Bene o Male, amico o nemico, in una spirale di estremizzazione che si spinge sino a inserire nell’orizzonte del possibile un suicida olocausto nucleare e una devastante terza guerra mondiale, mentre avanza incontrastata la catastrofe ambientale, contraddicendo finanche l’hobbesiana ricerca della pace nell’orizzonte della sopravvivenza.

A farne le spese sono il pluralismo, che tende a spezzare dualismi artificialmente semplificatori, restituendo la complessità delle dinamiche sociali e politiche, e ogni conflitto che non sia tradotto in patriottismo atlantista, che viene espulso e occultato. A essere travolto è altresì il senso del limite, che è l’essenza del costituzionalismo, con la previsione di vincoli, divisioni ed equilibri; con la proclamazione dei diritti e insieme dei doveri; con il riconoscimento dell’emancipazione, personale e sociale, che restringe la libertà intesa come “privata” e assoluta; con il ripudio della guerra quale espressione della volontà di evitare una competitività che si esprime nella forma estrema della violenza. A essere investita dalla logica bellica, in una parola, è la democrazia, la nostra democrazia: pluralista, conflittuale e sociale.

Il Parlamento, ça va sans dire, prontamente arruolato, con un self-restraint contrario al suo ruolo, riduce il proprio intervento al conferimento di deleghe al Governo.

La propaganda bellica espelle, tacciandole di tradimento, disfattismo, filo-putinismo, le opinioni non allineate, acutizzando, e dotandolo di un’aura etico-eroica, un moto omogeneizzante già in corso da tempo e centrato sul pensiero unico della razionalità neoliberista (che ha accompagnato, per inciso, la progressiva convergenza delle forze politiche). Vengono soffocati ed emarginati i tentativi di analisi e di mobilitazione non appiattiti sulla polarizzazione “Russia criminale” e “Ucraina eroica”, le letture all’insegna della complessità.

La prima a cadere è la libertà - effettiva - di manifestazione del pensiero, nel suo essere libertà di critica, di protesta e di dissenso; come scriveva Gramsci: i «discordi» sono disposti «in un pulviscolo individuale e disorganico» e una sola forza, controllando gli «organi dell’opinione pubblica: giornali, partiti, parlamento», modella «l’opinione e quindi la volontà politica nazionale».

L’orizzonte della guerra nel suo essere estremo, negli eroismi e nella violenza, mobilita e insieme narcotizza le coscienze.

La figura del nemico compatta e distoglie l’attenzione da diseguaglianze e disastri ambientali, arruola i cittadini in una guerra, in una visione del mondo, nella quale in realtà essi sono sudditi: non della loro emancipazione si tratta ma della competizione per il dominio di altri.

E nemico dopo nemico - migranti, dissenzienti, pacifisti - si approfondisce il solco della criminalizzazione e della repressione del dissenso e la democrazia scivola verso l’ossimoro della “democrazia senza conflitto”.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Alessandra Algostino
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

21 febbraio 2023

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