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La tecnologia non basta. La transizione energetica sia anche cambiamento sociale


Il modello socio-economico contemporaneo è, nel bene e nel male, il risultato dello sfruttamento dei combustibili fossili. Per un impiego massiccio delle energie rinnovabili è necessario coinvolgere ampi strati della società per una profonda revisione di modelli produttivi, organizzativi e comportamentali che accompagni l’innovazione tecnologica.

Credo di aver sentito parlare per la prima volta della necessità di passare alle energie rinnovabili nei miei primi anni di liceo. Il muro di Berlino era ancora in piedi e, con il rapporto Burtland (1987), era stato appena sdoganato e “canonizzato” il discorso sullo sviluppo sostenibile. Da allora sempre più spesso mi è capitato di sentire da varie fonti, non sempre supportate da solide argomentazioni scientifiche e quasi sempre accompagnate da una certa allusiva sicumera, asserzioni del tipo “Le tecnologie ci sarebbero anche ma…”.

Se le ipotesi a supporto dei ma variavano e variano tuttora da (indimostrabili e) bizzarre dietrologie complottiste a più ragionevoli, per quanto scontate, ipotesi sugli interessi economici in gioco, bisogna ammettere che in parte questa semplicistica asserzione risponde al vero.

È vero che le tecnologie per lo sfruttamento delle risorse rinnovabili hanno un impatto sulla sostenibilità del sistema energetico ben al di sotto del loro potenziale. È vero che, come mi disse un amico geologo a proposito dello sviluppo dell’energia geotermica, “I problemi tecnici se non sono risolti sono risolvibili: la vera sfida si gioca sul piano sociale”. Ed è vero, infine, che “le civilizzazioni, o culture dell’umanità, possono essere considerate forme di organizzazione dell’energia” (Leslie A. White,1943), con tutta la ovvia complessità conseguente richiesta dal cambiamento di sistema energetico.

La transizione dei sistemi energetici dalle risorse fossili alle rinnovabili si configura infatti non come mera sostituzione di una tecnologia inquinante di produzione o consumo di energia con una tecnologia “pulita”, ma come profonda revisione di un modello di civiltà: occorre rivedere il nostro modo di produrre, consumare, soddisfare i nostri bisogni e la stessa scala di priorità su cui questi bisogni sono percepiti e costruiti. Sono questi presupposti, più che le ipotetiche trame e gli interessi dei poteri forti, a produrre resistenze, inefficienze e fallimenti dei processi di innovazione.

La tecnologia, condizione necessaria a rendere sostenibile l’approvvigionamento energetico, non è quindi anche condizione sufficiente; e la trasformazione del sistema energetico, così come il suo funzionamento e mantenimento, dipende dalla evoluzione e reciproco adattamento delle componenti sociali e tecniche che lo caratterizzano come sistema socio-tecnico (Geels 2003, Smith et al. 2007, Walker et al. 2007).

Per vincere la resistenza al cambiamento del sistema energetico legata alle traiettorie evolutive sociali e tecniche che l’hanno configurato nel suo stato attuale, occorre coinvolgere tutti gli attori e i processi sociali che lo caratterizzano (public and stakeholder engagement come si usa dire). Solo così sarà possibile trasformare radicalmente modelli produttivi e di business, promuovere l’accettazione delle nuove tecnologie e diffondere le innovazioni a fronte di pratiche consolidate che vanno profondamente rinnovate, contenere il rischio di riproduzione di diseguaglianze sociali e in generale considerare la rilevanza degli aspetti culturali e simbolici e degli stili di vita legati al consumo di energia.

Insomma la tecnologia non basta e non basterà mai. Per sperare di avviare la transizione verso un sistema energetico più sostenibile, bisogna coinvolgere i cittadini tutti, non solo e non tanto perché mossi da nobili ideali di giustizia, democrazia e progresso ma, più pragmaticamente, per avere una minima possibilità di successo.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Alessandro Sciullo
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

09 novembre 2020

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