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La grande onda. L’incertezza (in)governabile delle verità mobili

Katsushika Hokusai, La grande onda di Kanagawa, 1830 circa. Alla staticità e solidità del monte Fuji in lontananza viene contrapposta la violenza delle onde che mette in seria difficoltà le barche dei pescatori.

L’emergenza sanitaria ha colpito il mondo occidentale come una grande onda, creando condizioni economiche, sociali e psicologiche senza precedenti e che sono state descritte come una condizione di vigorosa incertezza. Ampiamente usato dalla teoria economica, il termine è stato accostato al rischio, per trovare il modo per misurarlo, ma anche allo stato confusionale che certi fenomeni ingenerano.

Il pianeta si trova in una situazione di complessità che non ha precedenti, forse rinvenibile solo alla fine XVII secolo, quando nacque lo Stato moderno e l’Imperatore venne sostituito con il mercato, i paesi protagonisti delle relazioni commerciali mutarono anche per la scoperta delle Americhe, si verificarono profondi mutamenti demografici. Fu il tempo della crisi delle strutture agrarie e della manifattura handmade, nel contempo esplodeva la bolla speculativa del tulipano e si passò da un sistema di relazioni che avevano come cuore la moneta a un sistema che iniziava ad ancorarsi al denaro. A questo si aggiunsero le diverse ondate epidemiche fra i secoli XVII e XVIII e la costituzione di una vera e propria disciplina medica; lo sviluppo dell’ottica permise di vedere mondi microscopici e macroscopici e l’invenzione della tecnica della stampa consentì di diffondere la conoscenza.

All’epoca tutto questo mutò in modo sostanziale lo sguardo sull’essere umano nella cultura occidentale, compreso il modo di governare l’incertezza e il rapporto con il futuro. Da quel momento infatti è alla matematica, soprattutto in termini probabilistici, che viene delegato il controllo di fenomeni nuovi e sconosciuti, e non più al numinoso.

Ora, con la diffusione a livello planetario di una situazione sanitaria drammatica è diventato pervasivo il termine incertezza per sottolineare “la” condizione vissuta dagli esseri umani. Una parola che sembra assumere lo status di codice interpretativo, con una struttura che si inserisce nelle fragilità individuali e sociali e contestualmente le determina. È come se avessimo perennemente di fronte agli occhi La grande onda di Katsushika Hokusai del 1831. Una straordinaria metafora visiva.

Piuttosto che una sola verità assoluta, il concetto di incertezza consente di affrontare una quantità di verità relative che si configurano come complessità della vita quotidiana e dell’esperienza. Oggi questo prende forma soprattutto nella presa d’atto che la scienza medica, nelle sue diversificate articolazioni (immunologia, virologia, infettivologia, ecc.), si muove proprio all’insegna dell’incertezza. Ci troviamo di fronte a verità mobili: man mano che si indaga conosciamo meglio il virus, ma molte domande sono ancora senza risposta, poiché dipendono dal flusso dei dati rilevati e dai risultati della ricerca. «La verità si trova nell'incertezza» sosteneva Socrate.

Questo termine entra nel linguaggio scientifico con il fisico Werner Heisenberg, tra i padri della fisica quantistica, e diventa presto uno slogan che indica la difficoltà generale, non solo nella scienza, di stabilire una verità indipendente dall’osservatore. Proprio in fisica si scoprono fenomeni e si formulano teorie che obbligano a riconoscere che l'incertezza è una condizione strutturale e intrinseca alla natura e non un’illusoria distorsione dovuta alla limitatezza dei nostri strumenti di conoscenza.

Il concetto di incertezza è assai caro anche alla teoria economica, che per lungo tempo ha avuto come modello proprio la fisica, ed è stato definito per la prima volta in relazione al rischio dallo statunitense Frank Knight nel 1921. L'obiettivo era soprattutto quello di giustificare il profitto, considerato come la remunerazione della peculiare capacità del vero imprenditore di prendere le decisioni più opportune in condizioni di indeterminatezza: il rischio assume così la fisionomia di incertezza misurabile e ripresentabile nella sua dimensione quantitativa e qualitativa tramite la teoria matematica della probabilità. Ne consegue che l’incertezza non solo non sarebbe misurabile, ma il suo dispiegarsi genererebbe risultati che possono anche essere più di uno e mai gli stessi. È stato poi lo statistico Leonard Savage che, nel 1954, ha trovato il modo di assimilare l’incertezza al rischio, rendendo trattabile matematicamente anche questa. Una teoria oggi ampiamente utilizzata da molti modelli adottati dagli analisti finanziari.

Nello stesso anno della pubblicazione di Knight esce anche Il trattato sulla probabilità di John Maynard Keynes, così la contemporaneità dei due testi e l’apparente assonanza delle problematiche ha fatto sì che anche a Keynes venisse attribuita la distinzione fra rischio e incertezza. Occorre invece puntualizzare che, secondo l’economista inglese, di norma ci troviamo in situazioni intermedie fra la completa certezza, che include il caso del rischio probabilistico, e la totale ignoranza [una distinzione di cui ci parla anche il filosofo Giacomo Pezzano in questa intervista, ndr]), e solo sulla base della nostra conoscenza della realtà abbiamo qualche elemento per valutare la probabilità di un evento.
Così nel 1977, John Galbraith, economista di matrice keynesiana, definisce l’incertezza come l’effetto della complessità dei problemi e della difficoltà a trovare soluzioni per risolverli o alleviarli nella società contemporanea. Un’accezione del termine che si avvicina maggiormente a quello di confusione più che a quello di rischio. Uno stato, quello confusionale, non controllabile, non calcolabile, non pre-vedibile matematicamente.

L’ottica della misurabilità e del governo dei fenomeni, seppur in termini probabilisticisti, proposta da Knight è riconducibile all’absurdus, allo stonato, al surdus, cioè al sordo, poiché c’è qualcosa in questa prospettiva che è sorda al mondo e ha molto a che vedere proprio con la rimozione della contingenza, della contraddizione, della complessità della realtà, la cui incertezza e imprevedibilità sono elementi costitutivi della vita sociale. Lo stato “confusionale” di realtà complesse e “im-pre-vedibili” sono scarsamente dominabili dall’antropocentrismo umano.

Una tesi che oggi si àncora non solo più alla speculazione filosofica ma trova sostegno nella biologia evolutiva, nella neurobiologia, coinvolgendo non solo il mondo animale ma anche quello vegetale. Di questo e di altro ho scritto più approfonditamente nei mie ultimi libri: Dalla paura alla parola. Emozioni e linguaggio (ed. Mimesis), e Le criptovalute. Monete private del capitalismo digitale (ed. Meltemi).

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Maria Grazia Turri
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

04 maggio 2020

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