“Vengono e vanno sole”. Donne all’Università, da curiosità a consuetudine

Fonte per secoli di stupore e curiosità, ammirate come fenomeni rari o compatite dietro sorrisi sarcastici, le donne hanno frequentato l’Università: dalle pioniere del ‘7-800 alle più fitte schiere del secondo ‘900. Così inizia il podcast “Vengono e vanno sole” realizzato in occasione della Notte degli Archivi 2020.
Qui vi racconto come, con l’irrompere della pandemia, ho modificato l’iniziale idea di una mostra in un progetto che ha dato voce, suono e musica a storie vere di donne che nello studio hanno trovato la via di emancipazione dal ruolo esclusivo di mogli e madri.


La locandina del progetto, che utilizza due cartoline di Golia del 1903, in cui le Facoltà sono raffigurate allegoricamente come studentesse

Non giunga alle mie orecchie la parola “presidentessa” o “avvocatessa”! Non perché rifugga dalla declinazione al femminile delle professioni, che anzi pratico e mi aspetto, ma perché esigo che si rispettino l’origine latina delle parole e le regole grammaticali: la forma femminile di “avvocato” è “avvocata”, quella di presidente è presidente, non muta (come ci ha spiegato anche la linguista Rachele Raus in questa intervista, ndr)

Sono partita dal linguaggio per dire che l’attenzione alle donne, alla storia del genere femminile e del suo ruolo nella società, è una costante nello svolgimento della mia attività, soprattutto quando mi trovo a ideare una mostra, a proporre una narrazione. Per questa ragione quando, molti mesi or sono, appresi che il tema del festival e della Notte degli Archivi 2020 sarebbero state le Donne (anzi WOMEN, per anglofilia), ne fui felice e mi rilassai, consapevole di avere molte carte da giocare sul tema Donne e Università.

In effetti avevo già ben chiare alcune possibili declinazioni dell’argomento, perché le avevo in precedenza indagate: la laurea negata a Pellegrina Amoretti nel 1777, le prime donne iscritte a partire dal secondo Ottocento... Il progetto, stimolato da Archivissima, di allestire una mostra nei nostri spazi espositivi mi spinse a esplorare ulteriormente la galassia femminile. Partii da Santa Caterina di Alessandria che, inizialmente protettrice dell’Università di Torino, lo divenne anche degli studenti e delle cosiddette caterinette, apprendiste sarte e modiste, compagne degli studenti nelle avventure goliardiche, che scelsero proprio il 25 novembre, giorno dedicato alla santa, per le loro feste; dalle professioni da sempre femminili (levatrici) a quelle, inaspettatamente, anche femminili, col placet del Protomedicato: mi riferisco alle rivenditrici di spezie, di acquavite, di erbe, di caffè. E poi il Novecento, cui approdare cercando delle possibili chiavi. Quando, infine, mi resi conto che il taglio doveva essere sulle donne che studiavano e si laureavano, scelsi come titolo “Vengono e vanno sole”. Donne all’Università, da curiosità a consuetudine, a partire da un virgolettato del rettore Michele Lessona del 1879.


Donne iscritte ai corsi dell'Università di Torino negli anni 1877-78 e 1878-79. Credit: ASUT

Come negli ultimi quattro anni, l’obiettivo era appunto quello di allestire in Archivio una mostra di documenti originali, con corredo di didascalie e qualche ausilio informatico (uno schermo in cui far girare sequenze di fotografie). La mostra si sarebbe dovuta aprire venerdì 4 aprile, l’Archivio avrebbe accolto, come sempre, decine e decine di visitatrici e visitatori, e noi archiviste/i avremmo dato voce ai documenti (perché le didascalie, si sa, nessuno ha voglia di leggerle…). I documenti di carta oggi emozionano addirittura. Ricordo un episodio del settembre del 2012: i vertici dell’Ateneo ci chiesero di accompagnare l’inaugurazione del campus Einaudi con una piccola esposizione “fuori sede” e noi scegliemmo, tra gli altri, alcuni documenti di mano proprio di Luigi Einaudi o da lui firmati. La gente del quartiere che nel pomeriggio affollò il campus si avvicinava incuriosita e ci chiedeva, incredula, se la firma fosse proprio quella del Presidente della Repubblica. Avutane rassicurazione, quasi si sdraiavano sulle nostre teche per scattare fotografie...

Tornando a noi, quando già i pesanti coperchi in plexiglass delle teche (le stesse!) erano stati sollevati per fare le prove di allestimento, valutando dimensioni di registri e documenti, sviluppo cronologico del percorso, direzione di flusso dei visitatori, tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo l’Italia si fermò e la manifestazione fu rinviata al 5 giugno.

Nei due mesi di lontananza forzata dall’Archivio anche questo progetto rimase congelato. Ma quando l'organizzazione propose la trasformazione del festival in digitale, fornendo diversi suggerimenti, dissi subito di sì e optai per il podcast. La mia esperienza di assidua ascoltatrice radiofonica mi fece da guida nello scrivere il copione: ridussi la galassia di temi a un unico filo conduttore, alternando una narrazione alla trascrizione di fonti originali, di natura archivistica e bibliografica. Ebbi chiaro da subito di aver bisogno di aiuto per fare una registrazione professionale. E mi rivolsi dunque alle Relazioni esterne di Ateneo, che mi hanno messo a disposizione lo studio radiofonico e l’opera di un valente quanto disponibile collaboratore, nella persona di Pasquale Massimo.

Pensai anche che sarebbe stato bello proporre una lettura del copione a due voci e mi venne in mente Giulia Alice Fornaro, redattrice di Frida, per averla qualche volta incontrata e soprattutto ascoltata nelle interviste di Prof fantastici e dove trovarli… Quello che non avrei immaginato è che, dopo averla coinvolta per la voce, Giulia e la sua collega Dunja Lavecchia, prima con discrezione, poi con sempre maggiore audacia, avrebbero preso in mano la situazione e fatto valere le loro competenze in fatto di ricerca sonora e musicale, rendendo incomparabilmente più godibile l’audiodocumentario!

Il tema e la valorizzazione del femminile è stata una costante anche nella ricerca musicale: dalla celebre You don’t own me di Lesley Gore, a Ciaccona di Francesca Caccini, musicista della corte Medicea che contribuì all’evoluzione della musica barocca e fu la prima donna a scrivere un’opera, fino alla colonna sonora della fiction The good wife, che racconta la storia di una madre, che dopo l’incarcerazione del marito per corruzione, torna dopo anni al lavoro di avvocata, professione abbandonata con il matrimonio.

È così che, anziché coinvolgere miei colleghi grafici e architetti per l’allestimento della mostra, si è venuto a creare al bisogno un gruppo nuovo, le cui competenze, insieme, hanno reso accattivante il podcast, pubblicato sul sito di Archivissima 2020.

Per me si è trattata di una assoluta prima volta come autrice, anche se, da ascoltatrice assidua di Radio 3, di questa formula avevo da tempo imparato ad apprezzare l’efficacia e la godibilità come fruitrice. Riconosco che, senza l’emergenza, non avrei sentito la necessità di sperimentare un linguaggio nuovo: non sono solo archivista di mestiere, ma anche conservativa e abitudinaria come persona. Ora che la soglia è stata varcata e che del risultato sono molto soddisfatta, penso che si tratta di una possibilità in più per fare terza missione, di un modo diverso in cui veicolare un contenuto. Il podcast ha in comune con gli altri contenuti digitali il fatto di svincolare la fruizione dalla presenza fisica. Rispetto, però, a una collezione digitale di documenti, ha la forza e la vivacità della narrazione, che può risultare coinvolgente per un pubblico non specialista.

Ciò detto, non vediamo l’ora di riaprire le porte del nostro Archivio al pubblico!

Studentesse in divisa nel cortile del Palazzo dell'Università. Credit: ASUT

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un racconto di

Paola Novaria
dipartimento / struttura

rivolto a

TIPO DI ATTIVITÀ

Pubblicato il

21 novembre 2023

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