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Genetica e Genomica

La proporzione come ponte tra il visibile e il non visibile

I caratteri morfologici e fisiologici (fenotipici) degli organismi sono il risultato delle reazioni chimico-fisiche che avvengono nelle cellule mediato dall'ambiente. Tratti imprevisti emergono dagli intrecci tra i diversi ingredienti chimico-molecolari, in particolare dalle proporzioni delle quantità delle diverse molecole presenti nelle cellule.

Alcuni esperimenti scientifici si sono rivelati cruciali per la nostra conoscenza del mondo, rendendo sempre più profonda la nostra comprensione e vasta la nostra visione. Il Progetto Genoma Umano è senza dubbio uno di questi: per numero di ricercatori coinvolti, anni di durata, costi e sviluppo di tecnologia pochi altri sforzi scientifici possono essere comparabili. Grazie ai suoi dati abbiamo caratterizzato i 3 miliardi di paia di basi del nostro genoma e i nostri circa 20 mila geni.

Succede anche di rimanere particolarmente stupiti dai risultati ottenuti: la cipolla possiede un genoma quasi cinque volte più grande di quello umano e il nostro numero di geni è molto simile a quello del Caenorhabditis elegans (un grazioso verme di circa un millimetro di lunghezza) che però ha un genoma circa trenta volte più piccolo del nostro.

La domanda che sorge spontanea è quindi: se non dall’estensione del genoma - non immediatamente visibile - da dove emerge la grande complessità - visibile o comunque rilevabile a livello macroscopico - degli organismi eucarioti superiori come talune classi di piante, animali o esseri umani? L’attenzione si è così spostata dal mero numero di geni o di basi azotate verso l’intricata rete di interazione che lega tra di loro i diversi geni e l’organizzazione fisica della molecola di DNA.

Le migliorie della tecnica applicata al sequenziamento dei genomi e dei loro prodotti di trascrizione hanno inoltre rivelato altri livelli di complessità: il ruolo fondamentale dell’epigenetica (l’insieme di fattori ambientali che influenzano l’espressione genica) e la ricchezza di informazione contenuta nell’enorme porzione di DNA non codificante (inizialmente definito con troppa leggerezza “DNA spazzatura”). Questa informazione serve alla cellula per sapere quando trascrivere determinati geni e per produrre diverse altre classi di molecole: non solo l’RNA (molecola simile a una porzione di singolo filamento di DNA) messaggero, che a partire dal DNA consente la sintesi di proteine, ma RNA derivanti da copie di geni non più funzionanti (gli pseudogeni), RNA che fungono da fini modulatori dell’espressione genica e proteica quali i microRNA, i long non coding RNA, le molecole di RNA circolari e forse altre ancora, ma sconosciute. E tutte queste molecole sono presenti nelle nostre cellule!

Già... ma perché? A che cosa servono?

Così una nuova idea ha preso forma: e se queste molecole, quando nelle giuste proporzioni, presenti cioè in rapporto ottimale per numero di molecole stesse, potessero “dialogare” non solo per garantire la produzione corretta delle proteine ma per influenzarsi reciprocamente e rispondere così in modo ancora più preciso agli stimoli esterni? I competing endogenous RNAs (ceRNAs) sono un esempio di come molecole diverse di RNA possano influenzarsi attraverso i microRNA come intermediari. Da una delle loro prime teorizzazioni (Salmena et al , 2011) a oggi, molti lavori in vitro, in vivo e in silico (simulazione al computer) hanno contribuito a cercare le risposte a questa domanda studiando come si formano le reti di regolazione, che coinvolgono i ceRNA, e come possono caratterizzare il fenotipo dei sistemi e come cambiano in condizioni patologiche, quali tumori e malattie neurodegenerative, offrendo spunti per caratterizzazioni ancora più precise delle malattie e nuove possibili vie di intervento.


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Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Ugo Ala
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

25 giugno 2019

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