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Fondamenti di chimica

Tra gli strati dei violini per scoprire il segreto di Stradivari

Immagine del set radiografico utilizzato per realizzare radiografie digitali a raggi-X agli strumenti musicali. Foto: Laboratorio Arvedi, Università di Pavia

Quali materiali utilizzava Antonio Stradivari per verniciare i suoi violini? Cosa conferiva quel timbro unico ancora ammirato in tutto il mondo? Da oltre un secolo il dibattito è acceso. In molti, infatti, sono stati affascinati dal segreto di una ricetta che il maestro cremonese ha gelosamente custodito all’interno della sua bottega nel centro della città fino alla sua morte, nel 1737. Ora chimici e fisici, in un progetto congiunto tra UniTo, Università di Pavia e Museo dei violini di Cremona, ha cercato di svelare questo segreto.

Nonostante siano passati quasi tre secoli dalla sua scomparsa, la figura di Antonio Stradivari incarna ancora l’apice della liuteria mondiale e ogni liutaio ha l’ambizione, più o meno dichiarata, di costruire i suoi strumenti come quelli prodotti nella bottega del Maestro a cavallo tra il 1600 e il 1700. Stradivari visse fino a 93 anni e dopo la sua scomparsa la produzione liutaria cremonese è progressivamente diminuita di qualità e di numero, fino a cessare quasi completamente durante il XIX secolo. Questo declino ha inevitabilmente portato alla perdita delle tradizioni e delle conoscenze, per la maggior parte frutto dell’esperienza di bottega, creando un profondo solco tra liuteria storica e contemporanea. Durante il novecento però, liutai ”aspiranti chimici” da una parte e scienziati con la passione per gli strumenti musicali dall’altra hanno tentato in vario modo di far luce sulla questione, proponendo teorie più o meno fondate e verosimili sulla composizione e sui processi di produzione della vernice e dei metodi costruttivi utilizzati dal grande liutaio cremonese. Questi approcci hanno però soddisfatto solo in parte la curiosità dei costruttori contemporanei e alimentato ulteriormente il mistero intorno al presunto “segreto” di Stradivari.

Nell’ultimo decennio, l’interesse rivolto alla conservazione e allo studio dei materiali e tecniche della liuteria antica è cresciuto notevolmente e le ricerche, un tempo saltuarie e scollegate tra loro, sono diventate sempre più sistematiche, integrate e informative. Dal 2012 il “saper fare liutario cremonese” è stato dichiarato patrimonio immateriale dell'Umanità da parte dell’Unesco, a testimonianza del percorso intrapreso dalla città di Cremona per la riscoperta delle tradizioni liutarie locali, e un forte impulso alla ricerca è arrivato nel 2013 con l’apertura del Laboratorio Arvedi di Diagnostica non invasiva dell’Università di Pavia con sede all’interno del Museo del Violino di Cremona, unico museo in Italia a ospitare un laboratorio di ricerca universitario. La collaborazione tra il Laboratorio Arvedi e il Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino ha portato alla definizione di un progetto di dottorato, ormai al terzo anno, dedicato allo studio dei materiali utilizzati dai più influenti liutai storici cremonesi nella costruzione degli strumenti musicali ad arco.

Gli strumenti sono stati così analizzati con molte tecniche differenti, prevalentemente senza contatto con la superficie del violino per evitare danneggiamenti. Sfruttando un gran numero di sorgenti e strumentazioni diverse, da spettroscopi grandi come un pacchetto di sigarette fino a large scale facilities che ricoprono interi quartieri, abbiamo cercato di ottenere il maggior numero di informazioni dai materiali e abbiamo avuto la fortuna di collaborare con ricercatori da tutto il mondo, dalla Russia alla Corea.

Cosa abbiamo scoperto dunque? Esiste davvero il segreto di Stradivari?

La scienza ha dimostrato di no, o almeno non ne esiste uno solo! Nella costruzione di un violino si inseriscono, ieri come oggi, molte variabili che rendono di fatto impossibile l’identificazione di un solo fattore. È stato però dimostrato che la vernice dei maestri cremonesi era a base di olio di lino miscelata con resine naturali (colofonia, mastice, sandracca, per citarne alcune) e che in alcuni casi veniva applicato sul legno uno strato preparatorio a base di colla con una dispersione di particelle di materiale inorganico (gesso, caolino, talco, carbonato di calcio), che serviva per poter stendere la vernice nel miglior modo possibile. Il colore dello strumento poteva essere ottenuto sia con l’utilizzo di polveri colorate disperse nella vernice, sia attraverso trattamenti termici che rendevano scura, ma ancora trasparente, la vernice stessa.
Ma ogni violino ha la sua storia e la sua “pelle” costituita da vari materiali e strati posti sul legno. Abbiamo dimostrato per esempio che ogni liutaio poteva ottenere lo stesso effetto estetico e agire sulla “voce” dello strumento combinando variamente tra loro materiali differenti.

Possiamo quindi concludere che i liutai di oggi possono continuare nelle loro sperimentazioni, certi che una replica esatta dei violini di Stradivari non potrà mai essere ottenuta, ma confortati dal fatto che la loro arte e maestria, supportata da un pizzico di scienza, possa comunque portarli alle vette qualitative che la città di Cremona ha espresso nel passato.


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un racconto di
Giacomo Fiocco
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

17 dicembre 2020

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