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Matematica: teorie e applicazioni

Sulle tracce dell’evoluzione del danno nel cervello: la patoconnettomica

Rielaborazione fotografica del "Fantasma di cervello", opera di F.R. Buchi del 1883 ospitata nel Museo di Anatamia Umana "Luigi Rolando" di UniTo.

È stato recentemente ipotizzato che le modalità con cui le aree cerebrali si connettono e scambiano informazioni nel cervello sano possano influenzare lo sviluppo di patologie psichiatriche e neurodegenerative. Tale tematica è al centro di una recente branca delle neuroscienze denominata patoconnetomica.

Il cervello umano è tra i sistemi biologici più complessi presenti in natura. A renderlo tale non sono solo i circa 90 miliardi di neuroni che lo compongono, ma anche l’elevatissimo numero di connessioni che corrono tra di essi: circa 100mila miliardi! Una struttura così intricata che, nonostante le avanzate tecnologie oggi disponibili e i numerosi tentativi, siamo ancora molto distanti dal riprodurre artificialmente. Negli ultimi decenni la ricerca neuroscientifica, e in particolare la così detta “connettomica”,  si è concentrata sempre più sulla comprensione delle relazioni esistenti tra le diverse aree cerebrali. Si è così scoperto che per funzionare al meglio, il cervello si è organizzato in gruppi di aree, detti network, che collaborano insieme per svolgere una determinata funzione. Curiosamente, queste aree continuano a scambiarsi informazioni anche quando non siamo impegnati in alcun compito attivo, situazione che i ricercatori chiamano resting-state.

Cosa succede, però, quando questa complessa struttura si ammala? È possibile che le patologie che attaccano il cervello sfruttino in qualche modo la sua ricchezza di connessioni per far propagare il danno da una regione cerebrale all’altra? E che ruolo hanno in tutto ciò i geni?
Queste sono alcune delle domande a cui cerca di rispondere chi, come me e i miei colleghi del FocusLab dell’Università di Torino, si occupa di patoconnettomica. Una delle nozioni fondamentali di questa recente branca delle neuroscienze è che non tutte le aree cerebrali hanno uguale probabilità di essere colpite dalle alterazioni strutturali (Cauda et al., 2019). Alcune regioni pertanto, come l’insula e la corteccia cingolata anteriore, sono un frequente bersaglio di svariate patologie, anche molto differenti tra loro. Se, dunque, l’alterazione della sostanza grigia non segue una distribuzione casuale, esistono meccanismi che ne guidano la propagazione?

Per rispondere a questa domanda, come FocusLab, in collaborazione con il dott. Enrico Premi dell’Università di Brescia e con il prof. Peter T. Fox dello University of Texas Health Science Center, abbiamo condotto un esperimento i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Brain.
Grazie all’analisi di centinaia di studi raccolti nel database internazionale BrainMap, siamo riusciti a individuare l’impronta che decine di patologie nel loro complesso, sia psichiatriche sia neurodegenerative, lasciano sul cervello. Successivamente abbiamo confrontato questa mappa con i profili di funzionamento, strutturali e genetici del cervello sano. I risultati mostrano che, sapendo come le diverse aree cerebrali si connettono fisicamente e scambiano informazioni, e quali geni esprimono nel cervello di soggetti sani, è possibile prevedere l’evoluzione del processo patologico con un elevato livello di accuratezza. Pertanto, oltre a confermare che non si distribuiscono casualmente, i risultati suggeriscono che le alterazioni cerebrali si propagano seguendo la connettività funzionale, strutturale e genetica.

Speriamo di aver dato un contributo che, insieme al lavoro di tanti altri neuroscienziati, aiuti a comprendere sempre meglio in che modo le patologie attaccano il cervello, e, in un futuro non troppo lontano, a fermarne la progressione.

un racconto di
Jordi Manuello
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

22 gennaio 2019

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