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Studio del passato dell'umanità

La start-up che resuscita i mammut, tra tutela delle specie e interessi economici

L'odierno Elefante asiatico è la specie vivente più vicina in termini evolutivi al Mammut lanoso. Foto: Unsplash

I progressi dell’ingegneria genetica potrebbero presto rendere possibile ciò che la fantasia del cinema aveva solo immaginato: riportare in vita specie estinte. Mentre un gruppo di ricerca in Cina avrebbe, per la prima volta, isolato cellule di un dinosauro vissuto milioni di anni fa, dagli Stati Uniti arriva la notizia di una start-up nata con l’obiettivo di riportare in vita il mammut lanoso a partire dal DNA di esemplari estratti dai ghiacci della Siberia. Quali sono i reali obiettivi, i rischi e le opportunità di tali ricerche? Quali, soprattutto, i problemi giuridici in gioco?

All’indifferenza che spesso accompagna la scomparsa delle specie viventi, fa da contraltare la curiosità suscitata dai progetti che vorrebbero ridare vita a specie estinte nel remoto passato. Chi non ricorda il film Jurassic park e la “resurrezione genetica” dei dinosauri a partire da una stilla di sangue rinchiusa in una zanzara fossile? Oggi quell’utopia appare sempre meno irrealizzabile grazie agli straordinari sviluppi dell’ingegneria genetica.

Ne è un esempio la Colossal, la start-up statunitense che vorrebbe riportare in vita il mammut lanoso a partire dal DNA degli esemplari estratti dal permafrost siberiano. La società si avvale degli studi di George Church, un autorevole scienziato di Harvard, e può contare sulla cospicua dote di 15 milioni di dollari raccolti da sponsor privati.

La tecnica di “de-estinzione” messa a punto prevede l’ibridazione dei geni della specie scomparsa con quelli della specie vivente più vicina in termini evolutivi, identificata negli odierni elefanti asiatici; i quali, a dispetto delle apparenze, condividono ancora con i mammut larghissima parte del DNA. I ricercatori e le ricercatrici si stanno perciò concentrando sulle differenze: confrontando i geni delle due specie possono isolare quelli tipici del “cugino” estinto e innestarli selettivamente sul DNA dell’elefante indiano. Si tratta, in particolare, dei geni responsabili della folta pelliccia, degli strati di grasso, delle orecchie piccole e di un sangue più ricco di emoglobina per resistere al freddo.

Lo scopo dell’intera procedura sarebbe, in prospettiva, il miglioramento delle condizioni del suolo e dell’ecosistema siberiano, giacché le mandrie di pachidermi, concimando e compattando il permafrost, ne impedirebbero lo scioglimento e il conseguente rilascio di gas serra. Ma non vanno neppure trascurate le opportunità offerte dalla possibilità di sperimentare sul campo nuove e rivoluzionarie tecniche di editing genetico, dalle straordinarie potenzialità applicative, anche in campo medico e farmaceutico.

Queste ricerche sollevano interrogativi complessi, inclusi quelli di natura giuridica. Dal punto di vista del diritto la questione è duplice. Da un lato, si tratta di inquadrare lo statuto normativo delle cose e degli esseri coinvolti nel progetto di “de-estinzione”, a partire dal fossile da cui è stato tratto il DNA (quale bene di valore storico-paleontologico) per finire con gli animali usati per la sperimentazione (quali esseri senzienti dotati di “diritti”). Dall’altro lato, e soprattutto, si tratta di valutare la legittimità di simili ricerche, alla luce della disciplina dei beni culturali, delle invenzioni biotecnologiche e della sperimentazione animale.

Proprio le suggestioni cinematografiche a cui si alludeva prima ci mettono in guardia contro il rischio di scelte avventate, così come ci ricordano che nessuno è disposto a investire milioni di dollari senza l’aspettativa di un tornaconto (anche il Jurassic park, dopotutto, non era che un parco di attrazioni a pagamento). Se dal cinema passiamo alla realtà, si può quindi affermare - come si diceva - che la possibilità di sperimentare sul campo nuove tecniche di ingegneria genetica dalle numerose (e lucrose) applicazioni mediche offre una motivazione economica sufficiente a spiegare l’interesse per simili ricerche. Ma è anche una motivazione eticamente e giuridicamente ammissibile?

La reintroduzione di una specie estinta può avere conseguenze negative sugli ecosistemi di oggi, alterandone l’equilibrio e portando all’estinzione le specie del presente. Perciò, è certamente consigliata grande prudenza nel valutare gli effetti a lungo termine di simili progetti. Allo stesso tempo, però, non vanno disincentivate le potenzialità che tali ricerche potrebbero avere proprio per la protezione degli ecosistemi attuali, sempre più minacciati dai cambiamenti climatici, troppo repentini perché gli esseri viventi, vincolati ai lunghi tempi dell’evoluzione darwiniana, riescano ad adattarvisi. È proprio per tutte le specie che stanno andando incontro all’estinzione nel presente - più che per i progenitori del remoto passato - che le nuove possibilità offerte dalla tecnica potrebbero essere un’àncora di salvataggio.

La posta in gioco, insomma, è alta. Proprio per questo ho dedicato parte del mio studio ad analizzare in chiave giuridica queste nuove frontiere della de-estinzione. Il risultato è un articolo in corso di pubblicazione sulla rivista giuridica Nuova giurisprudenza civile commentata. Ma ancor più stimolante è guardare a questa sfida da prospettive diverse, progettando un’indagine multidisciplinare, che solleciti anche i cultori di campi del sapere diversi dal diritto (archeologi, storici, filosofi, biologi e genetisti…) a confrontarsi con il tema di questa ricerca.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Luciano Olivero
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

01 aprile 2022

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