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Culture, Produzione culturale e artistica, Filosofia

Se tramontasse il senso greco delle cose, svanirebbe anche ogni guerra

Giorgio de Chirico, Enigma di una giornata, 1914.

Nell’antica Grecia non è nata soltanto la filosofia, ma anche la radice del pensiero occidentale. Per scoprire il vero motivo per cui pensiamo le cose in un certo modo bisogna perciò tornare indietro di 2500 anni, diventarne consapevoli e infine valutare seriamente la nostra posizione, poiché il modo in cui pensiamo le cose ha un effetto concreto sulla nostra vita, su ogni evento, sul mondo intero e quindi anche sulla guerra.

Platone, nel Timeo, distingue due dimensioni: “Ciò che sempre è e non ha generazione” e “ciò che ha generazione e non è mai”. La prima è quella del mondo delle idee, eterne e immutabili, e la seconda del mondo sensibile, ossia di ciò che si genera e perisce. Platone lascia le cose del mondo in una perenne oscillazione tra essere e nulla, che si può tradurre così: le cose sono niente (“ciò che ha generazione e non è mai”).

In che senso le cose sono niente? Esse erano nulla prima della nascita o della produzione e torneranno a essere nulla dopo la morte o la distruzione. Ma da quale tipo di comprensione della realtà nasce la guerra, o in generale il fatto che le cose possano sparire, distruggersi, e quindi possono essere fatte sparire e distrutte?

Credo che ci riconosceremo tutti in questi pensieri e sensazioni: temiamo la morte, condanniamo la violenza, soffriamo in seguito alla perdita di un nostro caro o dopo la notizia, ad esempio, di una nuova guerra ai confini dell’Europa. Ma perché temiamo questi eventi, perché li disapproviamo? E per quali ragioni desideriamo cambiare in meglio il mondo?

Per rispondere vorrei chiamare in causa il filosofo contemporaneo Emanuele Severino. Egli propose il ripensamento della consapevolezza occidentale, mettendo in discussione il senso greco delle cose.

Severino sostiene che tutto è eterno e che è impossibile che avvenga qualsiasi tipo di distruzione e di creazione. Per Severino, il fatto che Platone abbia accostato due opposti, l’essere e il nulla, corrisponde a una contraddizione equivalente al dire: “Quando il sole è la luna” o “quando il cerchio è un quadrato”. Com’è possibile questo “quando”?

Partiamo da qui: l’annullamento delle cose non appare. Noi sperimentiamo soltanto l’apparire e lo scomparire delle cose, non il loro annullamento e il loro provenire dal nulla. Ciò non vuol dire che Severino neghi il cambiamento di scenario offertoci dai sensi, egli nega solo l’interpretazione che ne diamo. Come per Platone sono messi a confronto il mondo delle idee e il mondo delle cose sensibili, possiamo dire che per Severino c’è l’Essere, la dimensione contenente tutte le determinazioni, e in secondo luogo c’è l’Apparire, la dimensione in cui tutte le cose ci appaiono, si mostrano, per infine scomparire. Tutto ciò che appare è qualcosa e, dunque, è qualcosa di vero. A non essere vere sono le nostre interpretazioni e credenze.

Il senso delle cose e il senso della guerra sono strettamente collegati. Pensare a una cosa come niente, come qualcosa che uscì dal nulla e tornerà nel nulla, pone una guerra all’interno della cosa stessa, una guerra ontologica. La guerra è dunque già nelle cose stesse così pensate e la radice di ogni violenza, omicidio o guerra, è presente proprio nel pensiero platonico che le cose vengano dal niente e vi ritornino.

La possibilità stessa dell’omicidio, nel modo com’è inteso da tutti, risiede nella fede che l’essere umano possa essere annullato. Difatti, non avrebbe avuto senso proibire l’omicidio di un dio, poiché per definizione, se esistente, è eterno e immutabile. Ma l’essere umano è sempre stato pensato come inferiore al divino e sottoposto alla mortalità intesa come annullamento, e perciò tutelato dal diritto. Ma il ripensamento del senso greco delle cose proposto da Severino include l’impossibilità dell’omicidio così inteso.

Se l’essere umano è pensato in quel modo, però, potremmo constatare che la nascita e la morte facciano parte della natura umana. Possiamo a questo punto chiederci: perché siamo contrari all’omicidio e alla guerra se la morte fa parte della natura dell’uomo? Se la sua natura è di essere mortale, l’omicidio non viola la sua natura. Ad esempio il fuoco è trattato come tale sia quando si accende sia quando si spegne, in entrambi i casi ci si adegua alla sua natura. Si viola la natura di qualcosa soltanto quando non la si tratta come essa è. Per Severino la vera violenza è la volontà dell’uomo che vuole l’impossibile, ossia la distruzione e l’annullamento degli enti, e non l’atto violento di per sé.

Da duecento anni a questa parte, prendendo come riferimento la frase “Dio è mortodi Nietzsche, tutti i limiti sono stati cancellati insieme alla verità. Ciò ha lasciato ampio spazio alla scienza che, infatti, sta procedendo verso l’illimitato potenziamento tecnologico senza un confine teorico da non valicare, come quello rappresentato nel passato dal dio.

Cosa c’entra la tecnologia, la tecnica, se parliamo di guerra? Ogni potenza presente al mondo (capitalismo, comunismo cinese, democrazia, cristianesimo, islam e così via) si serve di strumenti tecnici, come ad esempio di mezzi di produzione, dei mass media o di attrezzature belliche. Le forze in questione, per non soccombere, dovranno aumentare la potenza del loro strumento, fino a porre il potenziamento dello strumento come l’unico scopo, rinunciando agli obiettivi primari rappresentati dalle idee. Ogni forma di potere si fonda su un’idea, ma continuare a occuparsi di quest’ultima distoglierebbe l’attenzione dallo sviluppo dello strumento tecnico necessario alla potenza per sopravvivere.

La gara al potenziamento indefinito comporta una rivalità tra tutte le potenze. Chi vincerà? Vincerà la forza che ha accantonato ogni ideologia per dedicarsi completamente al potenziamento tecnico. Ed è evidente a tutti che, in questi decenni, la politica mondiale non è di certo rappresentante di grandi idee e valori, bensì è spesso portavoce solo della tecnica. Eraclito disse: “Se la guerra finisse, non esisterebbero più le cose”. Severino capovolge l’affermazione del filosofo di Efeso: solo se il senso greco delle cose tramontasse, potrebbe poi diventar possibile il tramonto della guerra.

Per Severino la guerra è un errore non tanto perché preferiamo che sia così - poiché influenzati dallo stato d’animo sofferente osservando cadaveri e macerie - ma essa è un errore perché la distruzione dell’uomo è follia, è negazione della verità, è impossibile. Un evento si può e si deve condannare solo se non-verità, e non sulla base della sua conformità a un’inclinazione emotiva.

E dunque quale cambiamento propone di attuare Severino? Il ripensamento delle cose proposto si limita a un’osservazione consapevole degli eventi e non si candida a modificatore del mondo. Perché? Se nessuna cosa né nasce né muore, è sia eterna sia necessaria. Se ripensare il senso delle cose comportasse una modifica della situazione, sarebbe una contraddizione, uno dei casi in cui il rimedio diventa peggiore del male, poiché pur essendo consapevoli dell’impossibilità del cambiamento, esso si proporrebbe come concreta possibilità.

Per quanto non si veda in tutto questo una soluzione pratica, possiamo intravedere una proposta ben più profonda e importante: tutto è eterno. L’essere umano continuerà a temere la morte e a pensare di creare e distruggere ma, pensandoci bene, se tutti gli esseri umani si accorgessero dell’eternità di ogni ente, siamo sicuri che ci sarebbero ancora distruzioni e guerre? Se tutto è eterno, tutti siamo sullo stesso livello, e non c’è umano o animale che conti più di un altro.

Severino propone quindi un diverso punto di vista: l’essere umano come osservatore e contemplatore e non più creatore, manipolatore e distruttore. Il consiglio che possiamo trarre dagli scritti di Severino è quello di astrarsi dalla semplice condanna o assecondamento degli eventi. In cambio, bisognerebbe contemplarli, diventare consapevoli della loro essenza e cercarne l’origine.

Non dobbiamo fare a meno delle cose ma smettere di pensare le cose nel modo in cui l’abbiamo sempre pensate, come se fossero niente, come se si potessero annullare. È solo ripensando alle cose e al divenire, facendo tramontare l’idea che ogni cosa possa annullarsi, che potrebbe presentarsi la fine delle guerre e l’impossibilità del loro ripresentarsi, mettendo un punto a questa continua tragedia di cui siamo frastornati spettatori.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Alessio Fedeli
Gaetano Chiurazzi
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

24 febbraio 2023

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