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Bici vs Auto? Oltre gli schieramenti per una nuova mobilità urbana

Far crescere il numero di persone che scelgono la bicicletta come principale mezzo di trasporto è tra le soluzioni dominanti in varie città per risolvere problemi legati a inquinamento, traffico congestionato e malattie dovute alla sedentarietà. Come può l’analisi del discorso contribuire a promuovere questa strategia?

I numerosi studi pubblicati sulla promozione della mobilità ciclabile prestano una crescente attenzione alle questioni discorsive: come si parla di ciclabilità, come sono rappresentate nei media le persone che usano la bici e quali dinamiche comunicative innescano le violente reazioni negative alla creazione di nuove ciclabili. Tuttavia la linguistica, e in particolare l’analisi critica del discorso, non hanno ancora prestato la dovuta attenzione al fenomeno.
Così ho deciso di dedicare una mia recente attività di ricerca all’analisi del discorso di testi legati a questo tema. Ne è emerso che le strategie di costruzione dell’identità generate tramite la scelta del mezzo di trasporto, mostrando i collegamenti a questioni politiche, economiche e sociali più ampie, portano a considerare l’uso dell’auto privata la norma e la scelta della bicicletta come il comportamento deviante. Si arriva così al paradosso di concepire uno dei mezzi di trasporto più economici ed ecologici come una scelta elitaria, mentre l’auto, un mezzo costoso e molto impattante a livello ambientale, come il mezzo più popolare.

“I ciclisti” vengono spesso considerati un unico gruppo e i comportamenti scorretti di un singolo attributi all’intera comunità: le modalità discorsive ricordano i casi in cui alcuni fanatici compiono atti di terrore in nome di un credo religioso e la responsabilità, nonché la pretesa di scuse, viene scaricata su tutti i membri del gruppo religioso. Si susseguono allora richieste di contenimento e controllo (obbligo del casco, targa per le biciclette) e accuse di incompetenza legate alla possibilità di pedalare senza avere la patente. Al contrario, per i comportamenti scorretti da parte di chi si sposta in auto o a piedi si tende ad attribuire la responsabilità al singolo individuo. Nel caso di chi guida poi la responsabilità viene spesso trasferita linguisticamente dalla persona al mezzo stesso (“un’auto impazzita/pirata ha investito un pedone”).

Le soluzioni proposte sono dimostrate in letteratura come inutili, infondate e controproducenti. L’obbligo del casco, dove introdotto, ha fatto ridurre l’uso della bici, soprattutto in sharing: è così aumentato l’inquinamento e la probabilità di incidenti, ma senza effetti numericamente significativi sui traumi. La riduzione di incidenti, nota come Safety in Numbers, dimostra la diminuzione non lineare del numero di incidenti all’aumentare del numero di persone che si spostano in bici o a piedi: se va da sé che il numero di auto diminuisce linearmente se le persone scelgono di spostarsi diversamente, chi continua a usare l’auto in uno spazio dominato da persone presta maggiore attenzione, aumentando così la sicurezza per tutti. Inoltre i discorsi relativi alla patente non tengono conto del fatto che la maggior parte dei ciclisti adulti ha in effetti una patente.

Affinché le politiche a favore della ciclabilità siano accettate dai cittadini e funzionino a dovere è quindi fondamentale fare attenzione alle strategie discorsive usate, ad esempio focalizzando l’attenzione sui benefici non soltanto per i ciclisti ma per tutti i cittadini, in termini di maggiore sicurezza, miglioramento della salute, riduzione delle spese sanitarie e promozione del piccolo commercio. Un esempio virtuoso in questo senso è la Mayor’s Transport Strategy di Londra, dove in un documento di 163 pagine la parola "cyclists" è usata una solo volta, invece "Londoner(s)" 155, a sottointendere che i discorsi affrontati riguardano tutti.

un racconto di
Maria Cristina Caimotto
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

02 ottobre 2020

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