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Non solo capolavori! La conservazione dei beni culturali a misura di territorio

Foto: Una piccola statua viene restaurata da un esperto del Laboratorio regionale di restauro e conservazione di Smirne, Turchia. 18 settembre 2020. ©Agenzia Anadolu


La mia ricerca prova a rispondere a un dilemma che ho affrontato in prima persona come giovane conservatrice di dipinti: formata in un Paese occidentale consapevole delle recenti tecniche di conservazione, ho poi lavorato in un Paese privo di questa consapevolezza. Ho quindi affrontato diversi problemi come la scarsità di materiali e attrezzature ma anche di risorse umane adeguatamente qualificate. L'Algeria aveva la necessità impellente di una struttura dedicata alla conservazione del patrimonio. Da dove iniziare e, soprattutto, come stabilire gli standard per ottenere gli strumenti adatti?

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La conservazione delle opere d'arte e dei beni culturali è la spina dorsale di ogni iniziativa che mira alla trasmissione del patrimonio culturale. Per questo è cruciale assicurare l'integrità fisica dei reperti significativi e delle testimonianze materiali di eventi, tradizioni e manifestazioni importanti.
Fin dall'antichità, le diverse civiltà si sono prese cura, ognuna a suo modo, di preservare le preziose rappresentazioni delle loro credenze e del loro stile di vita. I mezzi per farlo sono sempre stati diversi, a seconda delle conoscenze e metodologie da un lato, e della disponibilità di tecnologie e materiali dall’altro. Ed è chiaro che l’attenzione - maggiore o minore - rivolta a certe opere rispetto ad altre dipende dal valore associato a ciascun oggetto. Si potrebbe pensare, come parallelo, alle disparità nell'accesso ai servizi sanitari: non trattiamo le persone con lo stesso protocollo medico indipendentemente dalla loro età, dal loro background, dalla loro posizione e funzione nella società. Così, l'accessibilità non è l'unico ostacolo alla diffusione di protocolli di trattamento equivalenti o standardizzati nella conservazione dei beni culturali. Diversi manufatti, come alcuni capolavori, possono ricevere - o avere ricevuto in passato - molta più attenzione di qualsiasi altra opera d'arte dello stesso tipo e periodo e persino dello stesso artista. Per esempio, un restauro di un disegno minore di Leonardo da Vinci non farebbe scalpore in confronto all'importante e discusso restauro di Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnellino, oppure della Gioconda.

Fortunatamente al giorno d’oggi nei centri di conservazione non vengono restaurati e studiati solo i capolavori. Oltre agli oggetti più belli o completi, si cercano di conservare anche i resti più comuni del passato che hanno guadagnato posizioni migliori nei nostri musei e istituti di ricerca per il loro potenziale informativo sul contesto che li ha prodotti. Grazie all'applicazione di analisi scientifiche e ulteriori indagini sui beni culturali, possiamo estrarre conoscenze preziose per comprendere meglio la concezione tecnologica di ogni oggetto, la sua evoluzione nel tempo, ma anche per scoprire i fenomeni di degrado coinvolti nella sua alterazione e riflettere sulle opzioni possibili per evitarne la distruzione irreversibile.

È questo che fanno i conservatori! Collaborano con altri scienziati per esaminare i manufatti e le opere d'arte da varie prospettive. Il loro luogo di lavoro si è evoluto ed è cambiato secondo questa necessità di confronto e collaborazione, passando dalla "bottega" al "laboratorio". La scienza della conservazione è quindi diventata sempre più multidisciplinare e adesso, secondo gli standard internazionali, è pienamente riconosciuta come disciplina scientifica dopo essere stata per lungo tempo relegata esclusivamente ad attività artigianale. Queste affermazioni ci portano a ripensare la situazione dell'accesso ai servizi di conservazione, da un punto di vista critico, insistendo sull'aspetto della selezione delle attrezzature.

Nella prospettiva di formarmi per l'allestimento di un laboratorio di conservazione in Algeria, il mio Paese d'origine, ho pensato che concentrare la mia ricerca su questo problema avrebbe potuto essere utile per altre persone che si confrontano con compiti simili. Come fanno i progettisti di nuovi laboratori di conservazione a stabilire i loro criteri e a scegliere uno strumento piuttosto che un altro? Qual è l'effettivo bisogno a cui si rivolgono in questo processo? Inoltre, quando nell'ambito di progetti di cooperazione internazionale sono chiamati a fare delle scelte per altri paesi, altri contesti e necessità diverse dalle loro, da cosa sono influenzati? La loro scelta è conforme agli standard internazionali (stabiliti principalmente dai paesi occidentali più avanzati) o potrebbe essere un'indagine approfondita dei bisogni locali e delle potenzialità del beneficiario?

La mia ricerca di dottorato - nell'abito del programma T4C* - mira a dare una panoramica della distribuzione dei laboratori di conservazione che sono ordinati in un database in base al Paese, con un riscontro specifico sui programmi di cooperazione internazionale. Fornire una mappatura di questi laboratori incoraggerà il loro sviluppo futuro in base alla reciproca vicinanza geografica, mettendo in comune gli investimenti in strutture su più larga scala e minimizzando così i costi.
Con questo lavoro cerco di contrastare i preconcetti psicologici e finanziari sull'inaccessibilità di certe tecnologie all'avanguardia, o la tendenza a sopravvalutare il loro impatto sulla fattibilità e la durata di un restauro. Esplorando il concetto di sostenibilità, la mia ricerca darà orientamenti su come dovrebbe essere mantenuto un centro di restauro dinamico in Paesi in via di sviluppo, soprattutto quando si considera la tecnologia obsoleta e la mancanza di competenze.
Credo che solo imparando dalle esperienze passate possiamo creare un futuro migliore, quindi spero che i risultati della mia ricerca incoraggino altri decisori ad affidarsi al mio studio comparativo dei laboratori di conservazione di tutto il mondo per aiutarli a progettare il loro futuro laboratorio su misura.

*Il progetto T4C (Technologies for Cultural Heritage) è finanziato dal programma Horizon 2020 per la Ricerca e Innovazione dell'Unione Europea, in accordo con il Marie Skłodowska-Curie grant agreement N. 754511


Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Aïda Menouer
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

08 febbraio 2021

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