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Processi sociali e politici, Legge e Comunicazione

Povertà e alimentazione sana sono davvero incompatibili?

Il mercato di Porta Palazzo a Torino. Foto: piemonteitalia.eu

Come cambiano le abitudini alimentari al variare dello status socio-economico delle persone? Per rispondere, l’analisi sociologica dei consumi alimentari in povertà spesso si concentra sulla quantità di alimenti di cui si dispone, e spesso diamo per scontata che i cibi salubri siano retaggio di chi se lo possa permettere da un punto di vista economico e culturale. La mia ricerca in parte smentisce questa ultima affermazione e si concentra in particolare sul rapporto che le persone alimentarmente povere hanno con il cibo salutare in Italia.

Il cibo è parte della cultura materiale di ogni gruppo sociale attraverso cui passano pratiche e tradizioni che forgiano identità e senso di appartenenza. Il cibo e le pratiche a esso associate, come la produzione, la distribuzione, il consumo e il post-consumo, ovvero la creazione di scarto, non sono quindi solo un modo per soddisfare bisogni biologici. Eppure è proprio l’importanza di garantire la salute fisica e mentale a tutti gli individui che conduce a una sempre più frequente associazione tra cibo e salute, specialmente da parte delle politiche alimentari e di promozione di stili di vita più sani. Negli ultimi anni, infatti, molte città nel mondo (tra cui, in Italia, Torino, Milano e Pisa) si sono dotate di una strategia alimentare locale, ovvero di una politica che considera l’intero ciclo di vita del cibo, progettando la transizione verso sistemi locali più sostenibili dal punto di vista ambientale, economico e sociale.

Sollecitato dal dibattito nato soprattutto nel campo della geografia urbana, una delle caratteristiche di tali politiche è l’approccio all’insicurezza alimentare come mancanza di un diritto sociale fondamentale, quello al cibo sano e nutriente, che deve essere economicamente, geograficamente e culturalmente accessibile a tutti, anche a chi non possiede le risorse adeguate.
In questo ambito si colloca la mia ricerca, il cui primo obiettivo è quello di analizzare quali sono le abitudini di consumo al variare dello status socio-economico, considerando i dati ISTAT di un documento specifico dal titolo Indagine Multiscopo sulle Famiglie: Aspetti della Vita Quotidiana. I risultati suggeriscono che il consumo di cibi sani potrebbe non essere una prerogativa prevalentemente dei gruppi ad alto capitale economico e culturale, ma potrebbe essere molto più “democratico” e variegato di quanto si possa immaginare.

Ad esempio, il modello statistico costruito nel corso di questa mia analisi indica una tendenza minore al consumo del cibo cosiddetto “spazzatura” (snack dolci e salati) tra persone con un titolo di studio basso rispetto a coloro che possiedono un diploma o una laurea ma, allo stesso tempo, un consumo di frutta maggiore tra i laureati. Per quanto riguarda il capitale economico, le differenze di consumo di cibo sano (frutta e verdura) e di snack dolci e salati tra i diversi gruppi non sono statisticamente significative, quando si tiene conto anche di altre variabili, come il genere, l’età, la condizione occupazionale e l’area di residenza.

Ma allora quali sono i determinanti della sana alimentazione? Che cosa influenza il consumo di alimenti freschi in Italia?
In prima battuta, è possibile affermare che le variabili demografiche, genere ed età in particolare, giocano un ruolo rilevante a favore delle donne e delle persone in età avanzata. Tuttavia ciò che viene ipotizzato nello studio è che lo spazio urbano del cibo, ovvero il foodscape di ciascun individuo, svolga una funzione basilare sulla capacità di accesso a un’alimentazione sana. Considerando il caso di Torino (ma non solo), basti pensare ai numerosi mercati rionali, che giornalmente offrono frutta e verdura, anche a prezzi molto bassi.

Questo primo passo della ricerca fungerà da base empirica per un'analisi più ampia dei foodscapes torinesi e delle rappresentazioni sociali della povertà alimentare, proprio in relazione alla percezione della capacità (sociale, culturale, economica) delle persone alimentarmente insicure di comporre una dieta nutrizionalmente adeguata e il ruolo del welfare alimentare nel facilitare tali abitudini.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Veronica Allegretti
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

16 dicembre 2020

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