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Come la Riserva Marina di Torre Guaceto è diventata un modello di business sostenibile

Foto: Juja Han / Unsplash

È possibile sviluppare un modello di business sostenibile, che tuteli quindi al contempo biodiversità e attività produttive tradizionali? Vi racconto il caso emblematico di Torre Guaceto (Brindisi), dove ambiente, economia e società si intrecciano virtuosamente: la conservazione della biodiversità ha garantito il mantenimento delle attività economiche collegate all’ecosistema marino, stimolando una rinascita del territorio, consapevole dell’insostituibile centralità delle proprie risorse naturali.

L’istantanea più adatta, di indiscussa bellezza, per descrivere il concetto di uso sostenibile e valorizzazione della risorsa acqua è senza dubbio quella dell’Area Marina Protetta di Torre Guaceto (Brindisi). Non soltanto perché si tratta di una riserva, luogo vocato alla conservazione dell’ambiente e della biodiversità, ma per il paradigmatico impatto economico e sociale che l’equilibrio tra essere umano e ambiente, faticosamente ricostruito e ostinatamente mantenuto, vi ha generato.
Prima del 1991, anno della costituzione della riserva marina, scarsissima attenzione era data all’ecosistema: si praticavano contrabbando, pesca a strascico e con la dinamite. Il solo decreto relativo alla costituzione di un presidio non sarebbe stato sufficiente a scongiurare un finale già scritto, e nemmeno l’osteggiata scelta di vietare la pesca, nell’anno 2000, per tentare di ripristinare uno stock ittico che si temeva compromesso avrebbe probabilmente cambiato lo scenario in modo duraturo.

La creazione di un dialogo tra gli stakeholder (pescatori in primis), fatto di progressivo ascolto reciproco, di traduzione e trasmissione di conoscenza scientifica, ma anche di condivisione di sapere e “saper fare” tradizionale, ha invece generato i presupposti cruciali per superare la condizione precedente. La crescente consapevolezza, così acquisita, ha portato a una collaborazione tra biologi, pescatori e direzione della riserva nella progettazione comune di regole e strumenti per una nuova gestione sostenibile, anche per le attività economiche che insistevano sull’area marina. Nel 2005, alla parziale riapertura della pesca, sperimentale, per la valutazione dei risultati, il “raccolto” nelle nuove reti, rispettose del pesce e dell’ambiente acquatico, ha confermato il successo dell’attesa, attiva e cosciente, degli anni precedenti: una quantità di pescato fino a quattro volte superiore a quella al di fuori della zona di protezione e di taglia decisamente maggiore.

I pescatori che hanno co-definito il protocollo sono passati da una relazione con la direzione di Torre Guaceto  - dagli stessi definita - tra “guardie e ladri”, a esserne considerati le “sentinelle”, baluardi contro un “esterno” non controllato e insostenibile, e attori di un reciproco, virtuoso controllo del proprio stesso rispetto  di un regolamento tanto imprescindibile quanto efficace. Oggi sono loro i testimoni, in tutto il Mediterraneo, di una soluzione che promuovono con professionale consapevolezza e convinzione quale garanzia di benessere di lungo respiro per tutti gli stakeholder, invitando a stringere le maglie della conservazione, estendendone, al contempo, la diffusione. È stata così conferita nuova linfa alla pesca tradizionale, prima destinata a scomparire a fronte di risorse naturali in esaurimento e oggi nettamente più redditizia di quella “normale”. Dal mare alla terra, ulteriori attività sono fiorite, nel solco della sostenibilità: produzione di olio da olivi secolari, prima considerata residuale, coltivazione di varietà tradizionali di pomodoro (Presidio Slow Food) e riscoperta di altri patrimoni locali. Chiari risvolti sociali ed economici, questi, di un effetto evidente anche dal punto di vista ecologico: la ricaduta del progetto iniziale ha infatti esteso, ben oltre la zona tutelata, i benefici del ripristino e della nuova attenzione alla biodiversità.

L’acqua, in questo senso e ancora una volta, si conferma emblema della connessione tra natura ed essere umano, tra ambiente, società ed economia, e prova che un uso non rispettoso e non lungimirante  delle risorse su cui si basano attività economiche, non può che portare a un effetto boomerang disastroso per tutte le specie viventi. Ma se non è possibile ottenere spontaneamente un approccio “plurale” e durevole ai beni comuni, può essere utile rifarsi al concetto smithiano di individualità, ben conosciuto da filosofi ed economisti. Se, infatti, non è semplice né immediato far percepire l’importanza di una risorsa comune e l’impatto diffuso della sua tutela, può essere strategico inquadrarne il risvolto egoistico: l’ascolto, quantomeno, sarà assicurato. Ed è proprio quello che si può imparare da Torre Guaceto, che rappresenta così un modello prezioso per raccontare la sostenibilità.
Per questo ho dedicato parte del mio lavoro di ricercatore in economia aziendale a studiare e descrivere questo importante caso di studio. Il risultato sono stati due articoli: uno pubblicato sull’International Journal of Entrepreneurial Behavior & Research e l’altro sul British Food Journal, scritto con Edward Freeman, il padre della Stakeholder Theory.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Damiano Cortese
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

30 marzo 2021

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