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Cibo, Agricoltura e Allevamenti

I fertilizzanti sostenibili raggiungono gli agricoltori, grazie al progetto Nutriman

Foto: Heather Gill / Unsplash

Sono sempre più numerose le tecnologie in grado di trasformare i rifiuti organici in fertilizzanti biobased - utili a migliorare la sostenibilità delle produzioni agricole - e in grado di rendere le piante più resistenti, salvaguardando i suoli. Perché allora non vengono usate dai moderni sistemi agricoli intensivi? Come fare a trasferire “in campo” i risultati e i prodotti della ricerca? Ne parliamo con Massimo Pugliese, coordinatore per UniTo del progetto NUTRIMAN, che mira a far conoscere meglio le tecnologie disponibili e a trasferirle alle aziende agricole.

Professor Pugliese, a livello europeo un corretto approccio di gestione, recupero e valorizzazione dei rifiuti è considerato di importanza strategica per uno sviluppo economico sostenibile, soprattutto se finalizzato al recupero di elementi nutritivi. Ma qual è la situazione reale?
A oggi solo il 5% dei rifiuti organici è riciclato e utilizzato come fertilizzante, anche se questi potrebbero sostituire fino al 30% dei concimi minerali esistenti. Secondo la Commissione Europea, l'UE importa ogni anno oltre 6 milioni di tonnellate di fosfati, ma potrebbe recuperare fino a 2 milioni di tonnellate di fosforo da fanghi di depurazione, rifiuti biodegradabili, farine animali o letami. C’è pertanto una forte necessità di una maggiore sostenibilità del sistema agricolo e di chiusura del ciclo delle sostanze nutritive, con lo sviluppo di un ciclo virtuoso tra le zone urbane e rurali e il passaggio da un’economia lineare a una circolare.

Quali tecnologie potrebbero favorire questo passaggio?
Sistemi classici sono quelli basati sul compostaggio e sulla digestione anaerobica, che permettono di produrre ammendanti quali compost e digestati. Negli ultimi anni però sono state sviluppate nuove tecnologie per produrre fertilizzanti biobased recuperando biomasse (non solo agricole) e rifiuti, caratterizzati da un elevato contenuto di elementi nutritivi e conseguentemente da una efficacia maggiore. Per esempio dai fanghi di depurazione è possibile estrarre la struvite, un concime ricco di fosforo estremamente puro che può essere impiegato efficacemente in agricoltura. Mentre dalla pirolisi ad alte temperature di sottoprodotti agricoli di origine animale (ossa e carcasse) è possibile ottenere del biochar, un materiale carbonioso ricco di elementi nutritivi.

Quali sono i vantaggi nell'impiego di fertilizzanti biobased?
Oltre a una maggiore sostenibilità del sistema agricolo e a contribuire alla riduzione dei rifiuti, i fertilizzanti biobased aiutano a rendere le piante più resistenti e a ripristinare e mantenere la fertilità dei suoli, una risorsa non rinnovabile da studiare e proteggere, come recita il titolo di questo contributo di alcune colleghe e colleghi. Il compost ad esempio, oltre ad apportare sostanza organica al terreno ed elementi nutritivi, è un ammendante ricco di microrganismi utili a limitare lo sviluppo di quelli patogeni per le piante, contribuendo così a mantenerle sane e riducendo l’utilizzo di agrofarmaci. Insomma, ciò che una volta veniva considerato scarto oggi può essere recuperato e trasformato in nuovi prodotti per la cura e la crescita delle piante.

Eppure, come dicevamo all'inizio, questi prodotti non sono ancora diffusi in modo massiccio, perché? Come passare davvero dal laboratorio al campo?
Nonostante i vantaggi e le potenzialità di questi nuovi fertilizzati ottenuti a partire da filiere di recupero e il continuo finanziamento di progetti scientifici a livello europeo, secondo la Commissione Europea le idee e i metodi innovativi sviluppati nei progetti di ricerca non sono sufficientemente utilizzati e diffusi e spesso non sono integrati nelle pratiche agricole e forestali. E il problema è che spesso gli agricoltori non sono a conoscenza o diffidano della reale efficacia di questi prodotti o tecnologie nuove. In vista anche dell’entrata in vigore del nuovo Regolamento UE 2019/1009, che stabilisce regole comuni a tutti i Paesi membri sull'immissione sul mercato di fertilizzanti, il progetto Europeo NUTRIMAN (Nutrient Management and Nutrient Recovery Thematic Network), di cui faccio parte, ha proprio come finalità principale quella di diffondere alle aziende agricole queste innovazioni e stimolare lo scambio di conoscenze e una più intensa cooperazione tra ricercatori, consulenti e agricoltori.

Nel concreto quali attività portate avanti per conseguire gli obbiettivi citati? Si può parlare già di qualche risultato ottenuto in termini di consapevolezza aumentata?
A oggi sono già oltre 60 le tecnologie e i prodotti - tra le centinaia aderenti al progetto - che sono stati selezionati da un comitato tecnico per l’elevato grado di maturità tecnologica, la rispondenza ai criteri dettati dal nuovo Regolamento Europeo sui fertilizzanti e il valore aggiunto economico. Tutti sono stati inseriti nel catalogo del progetto Nutriman per poter raggiungere facilmente gli agricoltori e nel frattempo sono in corso prove dimostrative in vari Paesi europei, dove i prodotti vengono fatti conoscere, utilizzati in campo e viene dimostrata la loro utilità.
In Italia, per esempio, presso i nostri siti sperimentali e alcune aziende agricole abbiamo organizzato prove di campo su mais, vite e lattuga, utilizzando parte dei fertilizzanti selezionati da Nutriman. Prove che, unitamente ai workshop, sono state seguite dal vivo da decine di tecnici e agricoltori. Inoltre siamo attivi su vari canali, compreso il canale Youtube di Nutriman, dove è possibile seguire le prove in corso o rivedere quelle concluse e i risultati ottenuti. Infine abbiamo lanciato una consultazione pubblica, rivolta alle sole imprese agricole, sui vantaggi e i limiti percepiti nell'applicare tecnologie e prodotti biobased, dalla quale emerge un forte interesse in questo ambito da parte degli imprenditori agricoli.


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