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Ecosistemi, Biodiversità e Comportamento animale

Cinghiali urbani e parassiti negletti

Foto: Unsplash

Il cinghiale, ampiamente diffuso sulla nostra penisola, è l’ungulato selvatico che più frequentemente si rende protagonista di anomali avvicinamenti alle aree urbane e periurbane. Ciò che l’occhio umano non può cogliere, tuttavia, è la presenza di misteriosi parassiti nascosti nei muscoli del nostro suide. Scaltri microrganismi che, per completare il loro sviluppo, avranno bisogno di essere accolti nel corpo di un canide o di un essere umano.

Il vasto castagneto alle porte del centro abitato, luogo ampiamente frequentato dai cittadini che amano condurvi i cani a passeggio, non ha lasciato indifferenti i cinghiali residenti sulla collina. Nel corso delle ore notturne, infatti, castagne, radici e gemme diventano un pasto allettante e facilmente reperibile per questi animali, che non sembrano affatto disturbati dai segni del precedente passaggio di canidi ed esseri umani.

È proprio sulla superficie di uno dei frutti del bosco ingeriti da questi suidi selvatici che giacciono, in paziente attesa, le oocisti di Sarcocystis, un genere di parassiti protozoi che include oltre 200 specie. Tra queste, Sarcocystis miescheriana e Sarcocystis suihominis necessitano del cinghiale come ospite intermedio per portare avanti il loro ciclo biologico. In seguito all’ingestione delle oocisti contenenti le forme larvali dei protozoi, i Sarcocystis raggiungono la muscolatura dell’animale attraverso i vasi sanguigni e linfatici e vi si insediano creando cisti tissutali, in attesa di essere ingeriti dal loro ospite definitivo, che si infesta tramite il consumo di carne cruda o poco cotta: un canide, per Sarcocystis miescheriana, o un essere umano per Sarcocystis suihominis.

Entrambe le specie di Sarcocystis del nostro racconto possono causare diversi danni ai cinghiali, inclusi tremori muscolari, perdita di peso, dispnea, disturbi cutanei, aborto e morte, nei casi di infestazione acuta e massiva. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, l’ingestione si limita a poche oocisti e le infestazioni provocano sintomi lievi o assenti. Similmente, i sintomi nell’ospite definitivo, e in particolare nell’uomo, possono passare inosservati, o includere manifestazioni gastrointestinali quali nausea, dolori allo stomaco, vomito e diarrea.

All’interno del corpo dell’ospite definitivo, il parassita può riprodursi e formare le oocisti, che vengono disperse nell’ambiente attraverso le feci. Per completare il ciclo vitale di Sarcocystis sono quindi necessari due contatti tra cinghiali e persone o tra cinghiali e canidi, domestici o selvatici: uno indiretto per l'infestazione del cinghiale, a cui basta grufolare in una zona contaminata da una fognatura o dalle feci di cani o volpi di passaggio, e l’altro diretto per l'infestazione dell’ospite definitivo, che avviene per via alimentare. I sempre più frequenti episodi di avvicinamento dei cinghiali a città e centri abitati creano punti di contatto indiretto tra i due ospiti di Sarcocystis suihominis: per quanto l’eventualità rimanga rara, un cinghiale che frequenti centri abitati ha infatti più possibilità di entrare in contatto con materiale contaminato da feci umane e contrarre il parassita.

È in questo intrigante contesto che, all’interno dei nostri laboratori e in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Veterinaria di Napoli, abbiamo deciso di esplorare diverse metodiche molecolari per ottenere una rapida identificazione delle specie di Sarcocystis del cinghiale, al fine di valutare la frequenza e la diffusione di questo genere di parassiti negletti, ovvero scarsamente investigati. I risultati sono ancora preliminari, ma una delle due specie di Sarcocystis oggetto d’esame sembra essere ampiamente diffusa nelle popolazioni di suidi selvatici: si tratterà di Sarcocystis miescheriana o del più minaccioso Sarcocystis suihominis?

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Selene Rubiola
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

16 marzo 2022

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