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Ecosistemi, Biodiversità e Comportamento animale

Arrivano gli americani: invasori a sei zampe d’oltreoceano minacciano i nostri vigneti

Popillia japonica

La viticoltura italiana ha dovuto fronteggiare negli anni, con alterni successi, numerose specie di insetti dannosi provenienti dagli USA. Presentiamo tre casi studio, giunti in tempi diversi, illustrando come la ricerca scientifica ha affrontato e sta affrontando il problema.

Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura.
Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali.
Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia
L’arte della guerra, Sun Tzu

Si sa, agli americani il vino italiano piace. Non deve sorprenderci quindi che vengano a visitare volentieri le nostre vigne, a volte stabilendosi da noi. Ma qui non si tratta di turisti enogastronomici, stiamo parlando di visitatori a sei zampe sgraditi, che arrivano sottotraccia, e quando ce ne accorgiamo spesso è troppo tardi perché hanno già messo su casa. Sono le numerose specie di insetti che negli anni sono stati accidentalmente introdotti dagli USA nel nostro Paese. Se in patria non sono fonte di grande preoccupazione, poiché tenuti a bada da una vasta pletora di nemici naturali, nel Bel Paese non hanno freni, e dilagano senza sosta.

Ne sono arrivati tanti, difficile essere esaustivi, per questo abbiamo scelto di presentarvene tre.
Il pioniere è senza dubbio la fillossera della vite, giunta nella seconda metà dell’Ottocento, a cui, giusto per non annoiarci, negli anni abbiamo cambiato più volte il nome scientifico: adesso si chiama Daktulosphaira vitifoliae, un nome quasi impronunciabile. Sulla vite americana il suo complicatissimo ciclo biologico, incubo di generazioni di studenti di Agraria, si svolge con infestazioni che si alternano sulle foglie e sulle radici, senza però causare danni eccessivi. Ma alla nostra amica le foglie della vite europea non piacciono granché, e quindi si accanisce sulle radici. Fortunatamente con l’innesto della vite europea su vite americana nel corso del ‘900 abbiamo risolto il problema. Però…

Però, in questa operazione abbiamo importato e piantato grandi quantità di vite americana, che nel legno conteneva le minuscole uova di una cicalina: Scaphoideus titanus (e sì, anche questo ha cambiato nome nel tempo), che è diventato un vettore efficientissimo di un fitoplasma, ovvero di un microrganismo la cui sopravvivenza è possibile solo all'interno della pianta ospite e dell'insetto vettore stesso. Questo patogeno è l'agente di Flavescenza dorata (FD), una malattia della vite che in Europa era già presente sottotraccia in forma endemica. A oggi, contro la FD non c’è cura, così la lotta è volta al contenimento dell’epidemia. Ma, pur essendo ben lontani dalla soluzione, probabilmente senza la ricerca svolta in questi anni - inclusa quella portata avanti da Cristina Morabito raccontata qui, ndr - e la vigilanza fitosanitaria, le cose sarebbero andate molto peggio.

Chiudiamo questo breve excursus con un visitatore originario dell’Asia, nippo-americano per la precisione: Popillia japonica, un coleottero che dal Sol Levante è giunto negli USA all’inizio del Novecento devastando le colture della costa orientale. Da noi è arrivato con un secolo di ritardo (2014), ma sta ampiamente recuperando il tempo perso. Di appetito insaziabile e di bocca buona (oltre che della vite si nutre a spese di circa 300 specie vegetali), è in grado di spogliare interi filari di vite in poco tempo, riducendo le foglie a scheletri spolpati. Gli americani hanno imparato a conviverci a caro prezzo, noi siamo ancora all’inizio della battaglia.

Che fare contro questi invasori? Controlli del materiale alle frontiere, quarantena, identificazione precoce, eradicazione dei focolai, misure di contenimento. E non ultima, la ricerca: non solo applicata ma anche di base. Sfruttare le tecnologie più aggiornate come le biotecnologie, e proporre approcci innovativi come il controllo simbiotico e il tracciamento dell’attività di dispersione degli insetti. Ponendosi in continuazione delle domande, senza arroccarsi sulle proprie posizioni. Perché ogni tassello di conoscenza alla fine contribuirà alla soluzione del puzzle.


IMMAGINI

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Alberto Alma
Federico Lessio
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

07 luglio 2020

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