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Inquinamento, Clima e Riscaldamento globale

Quando la febbre del pianeta si misura in montagna

Foto di Silvia Giamberini (CNR)

Le montagne sono i termometri del clima in quanto chiari indicatori dello stato di salute del pianeta. Le chiamiamo anche “sentinelle” del clima che cambia perché la loro risposta ai cambiamenti climatici e ambientali è ben visibile e amplificata: le montagne si stanno scaldando di più e più in fretta rispetto alla media, ma con quali conseguenze?

Sono almeno due i motivi per cui le montagne sono molto sensibili ai cambiamenti climatici - che siano di origine naturale o antropica - e più vulnerabili di fronte agli effetti di tali cambiamenti. Uno è che nelle regioni di alta quota la temperatura nell’ultimo secolo è aumentata di più (di circa il doppio) di quanto non sia avvenuto a livello medio globale. Questo ha portato a cambiamenti facilmente percepibili: dalla riduzione dell’estensione e della durata del manto nevoso al ritiro dei ghiacciai, dalla perdita di biodiversità all’estinzione di alcune specie di flora e fauna. L’altro motivo è che negli ecosistemi montani esistono equilibri delicati tra le diverse specie viventi e l’ambiente fisico in cui esse sono immerse. La flora e fauna sono altamente specializzate per vivere in condizioni estreme come quelle date dalle basse temperature e dalla rapida alternanza di paesaggi e microclimi. Una modifica esterna come l’innalzamento della temperatura e gli effetti che ne derivano (come la riduzione della neve al suolo) può seriamente compromettere quel delicato equilibrio.

Le ricerche che conduco al CNR di Torino (Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima) riguardano proprio il fenomeno dell’amplificazione del riscaldamento in montagna. Una delle cause principali è il fatto che il riscaldamento globale ha determinato una diminuzione dell’estensione delle aree coperte da neve e ghiaccio per lasciare spazio a suolo più scuro. Di conseguenza è aumentata la quantità di radiazione solare assorbita dalla superficie (in presenza di ghiaccio e neve la radiazione viene invece riflessa), amplificandone così il riscaldamento con ulteriore fusione di ghiaccio e neve che lascia spazio a nuovo suolo nudo in grado a sua volta di assorbire la radiazione solare e scaldarsi. Un meccanismo come questo, che si autoalimenta e si rinforza via via che ha luogo, viene definito “ciclo di retroazione” e, in questo caso, si tratta della retroazione ghiaccio-albedo (l’albedo è la capacità di una superficie di riflettere la radiazione solare) schematizzata in Figura 1. Da notare che la diminuzione del ghiaccio e della neve è sia una conseguenza sia una causa dell’amplificazione del riscaldamento in montagna. Questo ci suggerisce che il sistema climatico è una macchina complicata e altamente non lineare.

Tra le conseguenze più gravi dell’aumento di temperatura in montagna c'è l'alterazione del ciclo dell’acqua, che include la diminuzione della copertura nevosa, il ritiro e la frammentazione dei ghiacciai, la diminuzione della precipitazione nevosa, l’aumento sia dell’intensità della precipitazione sia della durata dei periodi secchi, con pioggia scarsa o assente. Questi fattori alterano la portata stagionale dei torrenti e dei fiumi che, spesso alimentati anche dalla fusione nivale, portano l’acqua a valle. In molti casi, come nelle Alpi occidentali e in Appennino, le montagne sono la principale fonte di risorse idriche - le così dette “torri di acqua” - per le regioni di pianura dove questa preziosa risorsa viene impiegata per uso potabile, irrigazione e produzione di energia. In altre parole quello che accade in montagna non resta confinato in montagna. E questo, ancora una volta, dovrebbe essere un monito per dare al più presto una svolta alle politiche per contrastare i cambiamenti climatici.


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