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“Ancora sciagura”: le radici della guerra nella letteratura ucraina

Ucraina, regione del Donbass (Photo: Getty Images)

Il conflitto in atto tra Russia e Ucraina sembra aver colto tutti di sorpresa, in realtà si rispecchia in una storia millenaria. Le premesse risalgono alla prima organizzazione statale degli slavi-orientali sotto l’egemonia vichinga dalla Rus’ di Kiev. Non è semplice tracciare una linea tra passato e presente, ma ci può essere d’aiuto la letteratura, espressione delle memorie e delle emozioni che definiscono l’“identità nazionale” ucraina. Qui prendiamo in considerazione il maggior poeta ucraino dell’Ottocento, Taras Ševčenko, e il più noto scrittore ucraino contemporaneo, Andrej Kurkov.

Buon Dio, ancora sciagura!
Tutto era così tranquillo, così sereno;
Avevamo appena iniziato a spezzare le catene
Che legano il nostro popolo alla schiavitù,
Quando… l’alt! Di nuovo il sangue del popolo
scorre...
                                       
Taras Ševčenko, 1859

La versione originale di “Buon Dio, ancora sciagura!” fu scritta in ucraino, a San Pietroburgo nel 1859, e l’autore, Taras Ševčenko, all’epoca era riconosciuto come il maggior poeta ucraino per i suoi versi dedicati a quell’insieme di memorie ed emozioni che oggi definiremmo “identità nazionale” ucraina. Ševčenko non si esprimeva metaforicamente quando scriveva di schiavitù. Dire “Io sono ucraino” ai tempi di Ševčenko era una presa di posizione sul proprio status sociale e sulle proprie origini: significava definirsi deliberatamente contro la nobiltà, contro la classe dominante, la classe mercantile. L’identità ucraina era un’antesignana identità anti-elitaria, spesso anarchica. Alcune poesie di Ševčenko sono molto impetuose e violente.

Non è semplice tracciare una linea tra passato e presente. Non ci sono analogie dirette, ma forse non è casuale che alla fine del XX secolo gli ucraini abbiano organizzato un movimento civile che portò alla proclamazione dell’indipendenza dall’Unione Sovietica il 1° dicembre 1991 e, una settimana più tardi, alla dissoluzione dell’URSS e alla nascita della Comunità degli Stati Indipendenti.

Secondo l’analisi dello storico Dominic Lieven in riferimento alla fine dell’impero zarista, “senza la popolazione dell’Ucraina, l’industria e l’agricoltura, la Russia all’inizio del XX secolo avrebbe cessato di essere una grande potenza”. La stessa riflessione sembra valida anche per il 1991. L’Ucraina per la Russia era importante non solo dal punto di vista economico e geopolitico, ma anche culturale e storico. Le lingue russa e ucraina hanno cominciato a divergere nel XIII secolo, e l’Ucraina possedeva un suo corpus letterario distinto e degno di nota.

Molti scrittori ucraini, tuttavia, sono russofoni, come Andrej Kurkov, il più importante scrittore ucraino contemporaneo. Anch’egli, nel suo recente romanzo "Le api grigie" [Serye pčëly, 2018] riflette sul conflitto interno - e interiore - dell’Ucraina. La narrazione è ambientata nella regione dell’Est, la “zona grigia” situata tra separatisti e nazionalisti, e racconta di due vicini di casa in un villaggio distrutto dalla guerra nel Donbass e semi-abbandonato: Sergej, l’apicoltore attaccato alle proprie api come alla vita, e Paša. I due uomini si detestano, sono in costante competizione, senza un reale motivo. Le "api grigie", alla luce del conflitto in corso, assume il valore di una parabola che illumina una storia di resistenza con l’umorismo e l’arte del simbolismo. Come si deduce da alcune situazioni del romanzo, presagio dell’attuale devastazione, l’invasione militare del 24 febbraio 2022 è l’apice degli eventi iniziati nel 2014, quando la Russia divide la Crimea dall’Ucraina e, in seguito, sostiene i separatisti del Donbass, trasformando parte delle regioni di Lugansk e Donetsk in isolate “repubbliche popolari”, ma le sue radici sono molto più profonde nella storia conflittuale dei due paesi.

Mentre Kiev sceglieva l’Europa e si illudeva di trovare un futuro migliore, il Donbass guardava verso Mosca e cercava rifugio nel passato. È la condizione che Benoît Vitkine, corrispondente del quotidiano “Le Monde” a Mosca, descrive nel romanzo "I fantasmi del Donbass" [Donbass, 2020], ambientato in una piccola città della regione mineraria del  Donbass in cui gli abitanti cercano di sopravvivere senza speranze e senza orizzonti. La guerra non è che una “sciagura” supplementare aggiuntasi alle tante difficoltà che hanno attraversato le steppe del Donbass: tutte ingiuste, incomprensibili, sebbene qualcuno avrebbe potuto vedervi un certo ordine delle cose. La morte di un bambino è diversa, riguarda quanto c’è di più sacro e intoccabile. Anche in questo romanzo l’immagine dominante è il grigio, che fa da sfondo al rumore dei missili, all'assenza di momenti gioiosi e alla minaccia permanente della morte. 

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Nadia Caprioglio
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

27 febbraio 2023

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