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Neuroscienze e Malattie neurologiche

Parkinson e placebo: ecco cosa insegnare ai neuroni

L’effetto placebo è un complesso fenomeno neurofisiologico, sempre più studiato nell’ambito delle neuroscienze: da un lato rappresenta un ottimo modello per indagare l’interazione mente-corpo, dall’altro presenta interessanti implicazioni cliniche, tra cui il trattamento del dolore e del Parkinson

Tra i diversi contesti clinici in cui viene studiato l’effetto placebo vi sono il dolore e il Parkinson. In particolare, nella malattia di Parkinson, la somministrazione di un placebo induce un rilascio di dopamina a livello del nucleo striato. Questo modifica l’attività di diverse strutture cerebrali, quali il talamo e i nuclei subtalamici, e porta a un miglioramento dei sintomi motori dei pazienti. Nello studio che abbiamo pubblicato sulla rivista The Journal of Physiology, abbiamo potuto documentare l’efficacia del placebo registrando l’attività dei singoli neuroni a livello del talamo in 42 pazienti parkinsoniani sottoposti a un intervento di impianto di elettrodi per la stimolazione cerebrale profonda. I pazienti sono stati suddivisi in 6 gruppi sperimentali, in base al tipo di trattamento ricevuto nei giorni precedenti all’operazione: nessun trattamento, un placebo o 2 mg di apomorfina (potente farmaco ad azione dopaminergica) somministrata 1, 2, 3 o 4 giorni prima dell’intervento.

In quattro gruppi, quindi, è stato effettuato quello che viene definito “condizionamento farmacologico”, una procedura che prevede la somministrazione del reale farmaco e la sua successiva sostituzione con un placebo. Durante l’intervento i pazienti hanno ricevuto un placebo, aspettandosi di ricevere una dose standard di apomorfina. Dopo la somministrazione del placebo, nei pazienti che avevano ricevuto il condizionamento farmacologico, l’attività elettrica del talamo è aumentata e i sintomi clinici sono migliorati. L’ampiezza e la durata di tali effetti sono stati tanto maggiori quanto più lungo è stato il condizionamento farmacologico: dopo 4 giorni di trattamento con apomorfina l’aumento di scarica dei neuroni talamici e il miglioramento dei sintomi sono stati molto elevati durante l’intervento. Inoltre il miglioramento clinico è durato 48 ore dopo l’intervento. Al contrario una sola somministrazione di apomorfina prima dell’intervento ha indotto una risposta ridotta dei neuroni talamici e un miglioramento clinico inferiore.

Un dato che dimostra l’importanza dell’apprendimento: è possibile, infatti, insegnare ai neuroni a rispondere al placebo. Più è stato lungo il periodo di “insegnamento” (ovvero il condizionamento farmacologico), più la risposta è efficace e duratura nel tempo. Due sono le sfide del futuro: da un lato studiare la possibilità di ridurre l’assunzione di farmaci alternando la somministrazione di farmaco e placebo. Dall’altro prolungare il più possibile la risposta al placebo, in modo da ottenere benefici più duraturi e stabili nel tempo.

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