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Nuovi sguardi sulle foreste di Fiemme. La dimensione antropologica della crisi climatica

Foto: Allef Vinicius / Unsplash

Combinazione imprevedibile di fenomeni atmosferici, politiche forestali e crisi climatica, la tempesta Vaia del 2018 ha pesantemente colpito le foreste della Val di Fiemme, mettendo a dura prova, anche culturalmente, la modalità storica dell'abitare nella valle trentina. Un trauma che tuttavia sta aprendo nuove possibilità di rapportarsi all'ambiente, ridimensionando la visione ottocentesca del bosco come fornitore di legname e mettendo le basi per un’alleanza con il bosco per il contrasto alla crisi climatica.

È ancora difficile muoversi tra le ceppaie e gli schianti che ricoprono i versanti montani, a quasi due anni da Vaia, che ha causato lo sradicamento di 14 milioni di alberi in una sola notte. Nella sola Val di Fiemme la tempesta ha abbattuto boschi per un volume pari a un milione di metri cubi, rivelando un'insospettata fragilità del territorio.

Come antropologo, uno dei punti focali della mia ricerca è evidenziare la dimensione culturale di Vaia che ne ha amplificato il potenziale distruttivo: un'imprevedibile combinazione di situazioni e processi su scala locale e globale. Le foreste fiemmesi ricoprono quasi 20mila ettari della Valle, come risultato di un modellamento secolare del paesaggio che ha reso l'abete rosso la specie dominante; questa pianta possiede però un apparato radicale superficiale che la rende più vulnerabile alle forti raffiche di vento.

La tempesta Vaia rientra invece nei cosiddetti cicloni extra-tropicali, fenomeni meteorologici estremi che dopo gli anni Settanta hanno visto aumentare la loro frequenza e intensità a causa del continuo rilascio di anidride carbonica e altri gas serra nell'atmosfera. Una vegetazione forestale fragile nei confronti di eventi con venti forti è stata così investita da raffiche di 190 km/h, provocando gravi danni in tutta la Valle.

Tutte le testimonianze concordano sul senso di smarrimento e di incredulità di fronte al disastro: abitanti, con una profonda conoscenza del proprio territorio, che non riescono più a muoversi e orientarsi nel bosco schiantato; tecnici e custodi forestali che devono ricorrere perfino al GPS, tanto è mutata la conformazione dei versanti; il turista abituale, i cui ricordi non coincidono più con la realtà che si trova davanti; esperti e ricercatori costretti a rimettere in discussione quasi quattro secoli di gestione forestale; perfino il residente “comune”, che percepiva il bosco solo come uno sfondo quotidiano immutabile, ha perso questa visione statica problematizzando per la prima volta l'ambiente che lo circonda. Ognuno di loro ha sperimentato una perdita dei propri riferimenti, diversa a seconda del rapporto di ciascuno con il bosco. E tuttavia, tutte queste esperienze traumatiche sono espressione di una crisi comune, che riguarda una modalità storica di abitare la Valle.

Con l'intensificarsi dei cambiamenti climatici, lo spaesamento provato dagli abitanti di Fiemme sta diventando una condizione sempre più diffusa e conosciuta nella società globale: il non sentirsi più a casa, non riconoscere più tempi, luoghi e relazioni con il nostro ambiente. Spazi vuoti, come quelli lasciati da Vaia sui versanti montani, e che nonostante ciò possono essere l'occasione per ripensare il rapporto con l'ambiente. In questi anni la comunità di Fiemme ha percorso a ritroso quel legame distruttivo tra selvicoltura e tempeste, interrogandosi su come supportare le foreste anche per impiegarle nel contrasto della crisi climatica, dallo stoccaggio dell'anidride carbonica alla tutela della biodiversità. La gestione forestale ottocentesca che ha modellato i boschi di Fiemme era infatti prettamente orientata alla produzione di legname, e non ha (ovviamente) potuto prevedere le ripercussioni negative alla luce della crisi climatica, in particolare delle tempeste estreme (l’imprevedibile combinazione citata sopra).

Un momento importante, tra le azioni intraprese dalla comunità di Fiemme per affrontare il problema, è stato il convegno del 2019, dal titolo “Quale futuro dopo Vaia?” in cui è stato riconosciuto lo spartiacque storico a livello di gestione forestale, e sono cominciate le riflessioni su come impiegare le foreste nel contrasto ai cambiamenti climatici. Sono state avviate collaborazione con aziende come Etifor, spin-off dell'Università di Padova, e coinvolti organi di certificazione ambientale (FSC, PEFC). Un primo risultato interessante in questo senso è stata la certificazione dei servizi eco-sistemici recentemente ottenuta dalla Magnifica Comunità di Fiemme, un ente d'origine medievale che gestisce da 900 anni un rilevante patrimonio silvo-pastorale soggetto agli usi civici, proprietà comune dei vicini (discendenti degli abitanti della valle). Di questo modello virtuoso di gestione responsabile della foresta ne ho parlato in questo racconto.

Nei mesi di ricerche trascorsi in questa valle, ho potuto constatare come la tempesta Vaia abbia rappresentato un vero spartiacque culturale per la comunità di Fiemme; non si tratta solo di adottare un nuovo punto di vista sul bosco ma - come evidenzia bene l’antropologo britannico Tim Ingold - di ripensare il modo di abitare il territorio e di con-vivere con altri viventi.

un racconto di
Nicola Martellozzo
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

13 gennaio 2021

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