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Spostare lo sguardo dalla terra al mare. Note di antropologia marittima

Dialogo fra mare e terra presso Punta delle Oche all'isola di San Pietro (Carloforte, SU). Foto: Ambra Zambernardi, 2017

Il mare è storia per se stesso e non un vuoto tra terre storiche. Contro la necessità di certezza e controllo radicate nell'ordine terrestre e territoriale, il mare fluttuante può invitarci a ripensare le nostre categorie di spazio, tempo, confine e mutamento.

L'antropologia marittima, così definita, implica la delimitazione di un campo che si contrappone a un'antropologia terrestre. Questa banale constatazione presuppone già una scelta arbitraria e non così scontata, appena spostiamo il nostro sguardo: una discontinuità e contrapposizione terra/mare è già terrocentrica (continentally oriented), innanzitutto; ed è anche tipicamente “occidentale”. Le ricerche etnografiche hanno infatti dimostrato che la dialettica terra/mare non è universale né ovvia: non tutte le società configurano con questa dicotomia il loro rapporto con i mondi acquatici.

Il mare stesso, per molto tempo, presso le culture che potremmo definire impropriamente “occidentali” è stato pensato come uno spazio omogeneo e indifferenziato, irrimediabilmente estraneo all'essere umano, refrattario alla domesticazione, lo spazio “altro” per eccellenza: un luogo ignoto, pericoloso, ostile, imprevedibile, incontrollabile, selvaggio, minaccioso, infernale, abitato da creature misteriose e mostri di natura repellente, diabolica o quantomeno ambigua.
La natura dell'oggetto “mare” bascula poi costantemente tra poli opposti: considerato di volta in volta mare che separa e mare che connette, barriera e via di comunicazione, privo di sentieri o ricco di itinerari, il mare è comunque, per l'uomo terricolo, un mezzo diverso da quello per cui è programmato, per poter affrontare il quale egli deve equipaggiarsi e dotarsi di attrezzature apposite (barche, zattere, bombole, tute termiche, ecc.). In definitiva, una barriera ontologica e di conseguenza anche epistemologica.

Le riflessioni sorte in antropologia marittima intorno al mare hanno enfatizzato poi per un certo periodo, almeno fino all'avvento degli studi offerti dai ricercatori di area pacifica, le sue caratteristiche contrappositive rispetto alla terra: il primo rappresenterebbe un ambiente tipicamente invisibile, instabile, incontrollabile. Queste attribuzioni tuttavia provengono da chi guarda al mare con gli occhi di un terrestre. Nelle mie ricerche in antropologia cerco invece di cambiare punto di vista assumendo quello di un marittimo: che sia un marinaio, un pescatore o subacqueo, ossia qualcuno che è abituato a frequentarlo con una certa regolarità e familiarità, il mare può risultare prevedibile, leggibile, presentando situazioni se non regolari, almeno ricorrenti (questo tuttavia non lo rende controllabile né addomesticabile).
Per costoro, inoltre, il mare non va categorizzato in senso stretto come quell'ambiente acqueo che delimita i confini terrestri, bensì come un insieme di fattori biotici e abiotici che interagiscono producendo un ecosistema integrato: il mare assume così contorni meno netti intrecciandosi alle zone lagunari, coralline o paludose e una triplice dimensione di fondo, volume e superficie. Ecco perché per i pescatori, ad esempio, del mare fanno parte anche il cielo con le nuvole e le stelle, le foschie e gli uccelli, l'orizzonte, le terre emerse: tutti insieme restituiscono importanti elementi di leggibilità e interpretazione di un milieu così cangiante.

Spostare lo sguardo dalla terra al mare, o comunque guardare al mare non dalla terra ma dal e sul mare stesso, consente di decentrare, arricchire, rendere più completo e complesso il panorama delle nostre conoscenze, grazie alla destabilizzazione - fisica e metaforica - che il mare, i mari, ci offrono in quanto animali umani. Si tratta di quello stesso spaesamento e fascino offerto da un altro mezzo che non ci appartiene, quello aereo: quanto diversa, lontana, insignificante può apparire un'umana vicenda vista a volo d'uccello o addirittura dallo spazio!

“L'essenza liquida del mare può fornire criteri ontologici con i quali revisionare le nostre teorie radicate nella terraferma. Non più considerato puramente un'aggiunta strumentale - una risorsa alimentare, un passaggio per il commercio e la conquista straniera, una zona di trasporto interculturale e internazionale -, il mare [...] è storia” (Chambers, 2007).

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Ambra Zambernardi
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

19 marzo 2021

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