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Verso i diritti delle piante e della natura, una nuova frontiera per la giurisprudenza

Il fiume Whanganui in Nuova Zelanda, considerato sacro dalla comunità locale, ha ottenuto nel 2017 uno status giuridico come soggetto di diritti.

L’attuale status giuridico degli alberi, ma anche degli animali e degli ecosistemi in generale, come oggetto e non soggetto di diritti, non assicura loro un’adeguata protezione dalle minacce dello sfruttamento antropico e della crisi climatica. Così alcuni tribunali e corti costituzionali nel mondo si stanno muovendo per riconoscere specifici diritti per esempio a fiumi e alberi, guidati da filosofie di vita di popoli autoctoni con un rapporto uomo-natura diverso rispetto alla tradizione occidentale.
Ne abbiamo parlato con Cristina Poncibò, docente del corso Comparative animal law and policy.

Riconoscere diritti alle piante è un passaggio non immediato perché richiede un cambiamento di paradigma nella percezione che ne abbiamo: esseri “inanimati” e quindi molto diversi da noi. Fino a poco tempo fa era impensabile persino parlare di diritti degli animali. Partiamo allora da qui: a che punto siamo sul riconoscimento dei loro diritti?
Il tema dei diritti degli animali è attualmente controverso e si declina diversamente rispetto agli animali da compagnia, agli animali da allevamento, nonché agli animali selvatici e agli animali nella ricerca scientifica. L’Unione Europea garantisce il benessere degli animali da allevamento ma si tratta di un approccio “utilitarista”. Sarebbe a dire che il benessere degli animali è protetto dall’Ue poiché essi sono "utili" al genere umano come cibo o per altre finalità. E ancora, si tutela la salute degli animali in quanto strettamente legata a quella degli umani e le valutazioni sono diverse se si tratta di allevamento intensivo o estensivo (per esempio in montagna).
In ogni caso, l’approccio utilitaristico è prevalente a livello mondiale, tanto che le legislazioni sul benessere animale sono orientate nella medesima prospettiva in Europa, Stati Uniti e Asia, nonostante le diverse tradizioni culturali e religiose che concernono il mondo animale (si pensi al caso dell’India). C’è da dire che quello dell’Ue è ritenuto essere un modello avanzato per l’elevato livello di tutela della salute degli animali da allevamento e quindi tale legislazione è studiata, con grande interesse, dagli studenti stranieri, soprattutto extra-europei, iscritti presso UniTo.
Parlare di diritti degli animali è però un’altra cosa: si tratta di porre gli animali su di un piano di parità con l’essere umano e, quindi, di ammettere un modo di pensare del tutto diverso rispetto al passato. Il tema è stato oggetto di interesse da parte di alcuni pensatori, come Peter Singer e Tom Regan ed è oggi più attuale che mai, legandosi a questioni di sostenibilità ambientale e di lotta al cambiamento climatico. La vita degli animali, delle piante e della natura più in generale è una questione strettamente connessa nelle scienze sociali e aperta nel diritto contemporaneo.

E pensare che già negli anni 1970 nel suo Should Trees have a standing il giovane giurista Christofer Stone scrive: “Sto proponendo molto seriamente di attribuire diritti legali alla foreste, agli oceani, ai fiumi e ad altri cosiddetti “oggetti naturali”, e all’ambiente naturale al suo insieme. Non è inevitabile, né è saggio, che gli oggetti naturali non possano avere il diritto di chiedere risarcimenti a proprio nome per i danni subiti.”
Il libro di Stone è uno dei miei preferiti. L’ho letto durante i miei studi di dottorato e ho sempre pensato che fosse un contributo straordinario. Ritengo che grazie a questo libro sia scaturita la discussione sulla natura intesa come soggetto (e non meramente oggetto) di diritti. Ma ancora ai nostri giorni le idee di Stone possono apparire rivoluzionarie perché la dottrina giuridica, indipendentemente dal sistema giuridico, non è stata capace di avanzare con lo stesso coraggio del giovane Stone negli anni Settanta, tanto che ancora la natura rimane, insieme agli animali, un oggetto per il diritto nella maggior parte degli ordinamenti giuridici. Oggi ci stiamo rendendo conto che lo status degli alberi - e invero degli animali - come oggetto di diritti non è più in grado di assicurare una adeguata protezione a tali soggetti ai danni dell’ecosistema terrestre e del nuovo diritto al clima, considerato diritto strumentale del più ampio diritto alla vita. Il punto è quale strada intraprendere nel favorire il passaggio verso una configurazione giuridica più rispondente al sentire della società contemporanea che attribuisce alla natura un valore particolare e diverso rispetto al passato.

Come si potrebbe fare allora? 
La teoria di Stone dimostra che il concetto di capacità-soggettività giuridica evolve in base ai tempi e quindi che tale nozione potrebbe integrare il mondo vegetale: questa evoluzione risponderebbe, invero, a un bisogno sociale in un momento in cui si assiste allo sfruttamento incontrollato umano ai danni delle piante e degli elementi naturali indispensabili per garantire l’equilibrio dell’ecosistema, la vita del pianeta e degli esseri umani.
Il panorama sta però mutando rapidamente e in alcune carte costituzionali, specie in quelle contemporanee, si ritrova il riconoscimento dei diritti della natura e la tutela della soggettività giuridica degli elementi naturali: stiamo parlando delle costituzioni di alcuni paesi dell’America Latina, per esempio Ecuador e Bolivia. Uno dei tratti più interessanti di tali costituzioni consiste nel comune riferimento alla ”cosmovisione andina” ovvero a quella filosofia di vita dei popoli autoctoni che è espressione di un diverso rapporto uomo-natura rispetto alla tradizione occidentale e che consente di riconoscere i diritti della Madre Terra.
Tuttavia è lungo il passo tra le affermazioni di principio che sono proprie dei trattati internazionali e delle costituzioni e la tutela giuridica poiché tale cambiamento implica un profondo mutamento di paradigma nella società e quindi nel diritto.

Cosa significa diventare soggetto di diritti con particolare riferimento ai beni naturali? 
Nei suoi scritti Stone precisa che è possibile rinvenire un soggetto di diritto nel momento in cui quest’ultimo potrebbe agire in giudizio al fine di tutelare i propri diritti e ottenere la riparazione dell’eventuale danno subito. Ovviamente non tutti i soggetti di diritti possono effettivamente rispondere ai requisiti richiamati da Stone. Si pensi alla posizione del minore, dell’incapace o addirittura di enti giuridici astratti come le società. In tutti questi casi i soggetti agiscono mediante l’intervento di tutori o di rappresentanti legali che sono titolari di poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione. Il punto è che, secondo l’autore, anche i beni naturali - quali appunto le piante, le foreste - dovrebbero godere di una simile forma di tutela attraverso l’introduzione della figura del guardian (nel diritto italiano si direbbe tutore o legale rappresentante).

A oggi cosa c’è dunque di concreto che va in questa direzione?
La questione del riconoscimento dei diritti della Madre Terra è una nuova frontiera per le scienze giuridiche. Stiamo infatti assistendo a un'evoluzione tanto nella normativa (Nuova Zelanda, Bolivia), quanto nella giurisprudenza delle corti supreme e dei tribunali di merito che sono chiamati dalle associazioni e dalle comunità locali a tutelare i diritti della natura e segnatamente delle piante (India). Sul piano della legislazione nazionale vanno segnalati alcune interventi normativi e giurisprudenziali volti alla tutela e al riconoscimento delle soggettività naturali. Ne è un esempio la Nuova Zelanda: il 15 marzo 2017 il Parlamento ha concesso la soggettività giuridica al fiume Whanganui, che si trova sul territorio di una comunità Maori, designata come rappresentante legale del fiume stesso.
Venendo alla giurisprudenza, merita un cenno fra le altre la sentenza Lalit Miglani vs. State of Uttarakhand & others, laddove i giudici indiani hanno precisato, già nel 2017, l’importanza degli alberi per garantire la vita sulla terra e il legame delle foreste con la religione e la cultura del popolo indiano. La Corte ha evidenziato la necessità di una tutela effettiva dei parchi, richiamando tanto opinioni dottrinali, quanto la Dichiarazione di Rio de Janeiro (1992), che prevedeva accordi internazionali per la tutela dell'integrità del sistema globale dell'ambiente e dello sviluppo.
I giudici indiani hanno affermato: We must recognize and bestow the Constitutional legal rights to the “Mother Earth”. The very existence of the rivers, forests, lakes, water bodies, air and glaciers is at stake due to global warming, climate change and pollution

Per approfondire:
A. Viola, Plant Power, Einaudi, 2020.
S. Mancuso, La Nazione delle piante, Laterza, 2019.
U. Mattei, A. Quarta, The Turning Point in Private Law: Ecology, Technology and the Commons, Edward Elgar, 2018
C. Poncibò, The Contractualisation of Environmental Sustainability, ERPL, 2016, 12:4, pp. 335-355
C. Stone, Should Trees Have Standing?: Law, Morality, and the Environment, Oxford University Press, 2010 (ultima e terza edizione; prima edizione: 1972)
G. Bertoni, Etica e allevamento animale, Franco Angeli, 2016
L. Battaglini, L'allevamento in montagna nel terzo millennio, Dislivelli, 2019, 100, pp. 29-31
S. Baldin, I diritti della natura nelle costituzioni di Ecuador e Bolivia in Visioni Latino Americane, 2014, 10, pp. 25-39

Questa storia di ricerca si trova in:


Intervista a

Cristina Poncibo'
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

A cura di

Redazione FRidA
Pubblicato il

13 luglio 2020

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