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Marta Migliosi

Unire le voci per cambiare il sistema. Intervista a Marta Migliosi del Movimento Antiabilista

Questo contenuto fa parte del tema del mese: Vite indipendenti

Il Movimento Antiabilista mette insieme diverse voci per far sì che le persone con disabilità possano prendere parola per i propri diritti e partecipare attivamente alla società. Nato nell’estate del 2024, il Movimento ha davanti a sé molte battaglie da portare avanti: ne parliamo con una delle sue attiviste, Marta Migliosi.

Marta Migliosi è un’attivista disabile, ha una formazione sociologica e i suoi temi di ricerca sono la vita indipendente e la de-istituzionalizzazione, cioè quel processo che vuole superare le strutture residenziali o semi-residenziali dove le persone con disabilità finiscono per rimanere  isolate e lontane dalla vita di comunità.

Marta, in un recente post hai scritto “Non credo più alla storia che è la singola goccia che fa l’oceano, ma che è l’oceano che irrompe da nuovi panorami”: un’immagine molto suggestiva che racchiude forse la tua idea di attivismo. Ce la puoi raccontare meglio?
Viviamo in un periodo di cambiamento sociale che riguarda la rappresentanza delle persone con disabilità e la lotta politica, cambiamento che intacca  le strutture di interazione con la collettività e anche, o almeno è così che lo percepisco, la dimensione culturale della disabilità. Già le grandi rivoluzioni degli anni ‘70 in tema di disabilità,  come l’inclusione scolastica e lavorativa, la legge 180 e la legge 104, hanno cambiato radicalmente l’idea stessa di disabilità, avvicinando la società civile alle persone con disabilità, di fatto includendole in alcune porzioni di società.

La percezione che ho ora è che le grandi associazioni di rappresentanza si sono frammentate sull’ottenere piccoli diritti/privilegi relativi a categorie specifiche di disabilità, ma questo dimostra il trionfo di un sistema capitalista che ci controlla tenendoci separati ma dandoci l’illusione che ottenere dei privilegi personali sia una vittoria collettiva sui diritti. 

I diritti, o meglio i privilegi, che strappo al sistema magari mi fanno vivere un po’ meglio in modo singolo, del tutto legittimo, ma del tutto precario perché non mettono in discussione tutto il sistema nel suo complesso. 
Se ho in mente solo una battaglia di riconoscimento e validazione e miglioramento individuale chiederò i diritti per la mia categoria a soggetti circoscritti e saranno sufficienti un manipolo di persone per ottenere cose molto circoscritte. Se invece ho in mente una messa in discussione dell’intero sistema, ho bisogno di tantissime persone e i risultati che otterrò saranno davvero dirompenti e duraturi. Sembra una cosa un po’ teorica, ma per fare un esempio pratico: se io sono una persona con disabilità che incontra delle barriere di tipo fisico e fondo il mio attivismo sul rimuovere le barriere dentro casa mia, nel bar dove prendo il caffè e nel cinema che frequento, risolverò forse un problema preciso, ma non metterò in discussione l’intero sistema che ha costruito quei palazzi e succederà che il giorno dopo verrà costruito un nuovo palazzo che di nuovo non mi considera.
Io mi auguro che il nuovo attivismo cerchi di creare davvero una collettività unita che modifichi in maniera sostanziale il sistema in cui viviamo. Ripeto è tutto legittimo, ma secondo me sono obiettivi diversi che portano a strade diverse, uno alla libertà o il miglioramento delle condizioni di vita individuali, l’altro a una libertà collettiva.

Di recente, la decisione del governo di rinviare l’attuazione della Riforma sulla Disabilità (Decreto 62/2024) ha scatenato le proteste di diverse associazioni. Ci spieghi che cos’è successo?
È successo che nel decreto milleproroghe del 14 febbraio è stato inserito anche il DL 62/24 sul progetto personalizzato, il cuore della legge delega 227/21 in materia di disabilità, la cui piena attuazione slitterà al 1° gennaio 2027.
Contemporaneamente sono state inserite nuove province di sperimentazione.
Il rimando non è stato condiviso dalla ministra con il Gruppo dell’Osservatorio Nazionale sulla Disabilità, dove siedono tantissime associazioni per le persone con disabilità. Questo è il risultato molto grave di una politica che considera i diritti delle persone con disabilità come qualcosa di rimandabile, qualcosa di non importante. D’altra parte anche le associazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità non hanno mosso critiche, ma hanno pensato che fosse una cosa parzialmente buona perché così dava più tempo al sistema di organizzarsi. Facendo finta che questo non significasse anche non mettere un’asticella sui nostri diritti sotto la quale non scendere.

Ricordiamo che tra la salute mentale e disabilità sono circa 15-20 anni che sperimentiamo i progetti personalizzati in un’ottica di de-istituzionalizzazione, ovvero superando la segregazione delle persone con disabilità in apposite strutture per promuovere una piena cittadinanza.

Cosa dobbiamo provare ancora? Qual è il senso di provare se funziona un diritto che restituisce libertà secondo il sistema mobile delle preferenze personali? 
In questo contesto abbiamo organizzato un coordinamento di protesta con Persone, il coordinamento contro la discriminazione delle persone con disabilità - formato principalmente da famiglie di persone con disabilità - , il Movimento Antiabilista - formato da persone con disabilità - e Unasam, l’Unione delle associazioni sulla salute mentale.
Abbiamo scritto diversi articoli mettendo in luce cosa è successo, soprattutto in merito alle spinte frenanti a una legge che parla di libertà e di vita indipendente. Le spinte frenanti sono interne al mondo associazionistico che sono diventate gestori di servizi e strutture e che finora hanno avuto un rapporto di dipendenza economica dal nostro sistema di welfare, lo stesso che la legge delega 227/21 mette in discussione. 
Non c’è giudizio a priori, ma mantenere un sistema di cura e custodia come concepito in questi anni va in una direzione lontana dai diritti di libertà e cittadinanza piena che auspichiamo per tutte le persone con disabilità. 

È così che è nato dunque il Movimento Antiabilista, di cui sei una delle fondatrici. Cosa lo distingue dagli altri soggetti che promuovono i diritti delle persone con disabilità e che obiettivi ha?
In realtà il movimento ha iniziato a formarsi online durante luglio 2024 per provare a collegare le molte attiviste e attivisti che si muovono in modo indipendente e creare un soggetto collettivo che si muova insieme e possa raggiungere obiettivi più ampi. Per dire con forza che l’associazionismo istituzionale non ci rappresenta più, non rappresenta più i nostri diritti. Noi come abbiamo scritto nel manifesto politico, in versione tradotta in lingua facile, non prenderemo soldi pubblici e non aderiremo a nessun partito politico. Quindi il nostro obiettivo è spingere da fuori le istituzioni e rivoluzionare in modo radicale il sistema in cui siamo immersi, dire e incontrare le persone dal basso per trasmettere che il potere culturale e delle politiche che ci riguardano è nostro e dobbiamo riprendercelo.

Ci immaginiamo come un movimento di liberazione collettiva: siamo consapevoli che non tutte le persone disabili possono partecipare agli incontri online per diverse ragioni, anche indipendentemente dalla loro volontà, alcune proprio perché magari rinchiuse in strutture segreganti. Noi abbiamo il privilegio di esserci e lo faremo per tutte le persone che non possono, io lo sento come un dovere. 

Tornando alla riforma, il cuore del nuovo disegno di legge, dicevi, è quello che si chiama Progetto di Vita Personalizzato e Partecipato. Ci spieghi cos’è e perché è così importante?
Il progetto di vita personalizzato e partecipato è fondamentale per due ragioni principali: restituisce a noi, persone disabili, la piena titolarità della nostra vita in linea con la Convenzione Onu. Infatti, il progetto deve essere fatto con la persona disabile presente e che firma il progetto. In nessuna normativa prima del DL 62/24 era esplicita questa dimensione. Qui dobbiamo fare attenzione, la legge delega 227/21 e il DL 62/24 parlano chiaro, il progetto di vita non è un questionario da compilare con delle soluzioni già pronte, ma è avere un documento condiviso del percorso di vita che la persona sceglie, quali barriere incontra e come andranno superate, con quali azioni. Il progetto di vita è sostenuto dal budget di progetto, cioè il “raccoglitore di tutte le linee di finanziamento sulla disabilità” e questo ci apre la seconda cosa fondamentale:

per convogliare ogni linea di finanziamento dell’intero sistema delle politiche sociali e sanitarie sulla disabilità, abbiamo bisogno che l’attuale sistema di welfare venga riorganizzato per svincolare anche i finanziamenti dedicati ai servizi semiresidenziali e residenziali.

Questo ha bisogno di competenze e sostegni amministrativi di supporto da parte delle Regioni, degli ambiti territoriali, delle aree sanitarie e dei comuni. La spinta principale deve venire dal governo, obbligando a cascata le regioni ad adeguarsi. Poter creare dei nuovi sistemi di supporto che siano garanzia dei diritti di libertà personale e vivere nel mondo in eguaglianza rispetto alle persone senza disabilità.  

Il Movimento si è formato dal basso e vorrebbe raggiungere sia i tavoli decisionali che la società civile tutta. Tra le diverse istituzioni con cui dialogare, state considerando anche l’Università e il mondo della ricerca?
Non sappiamo ancora se uno dei nostri obiettivi sia l’interlocuzione diretta. Sicuramente avere un potere di interlocuzione, cioè che ciò che diciamo abbia un valore e venga preso in considerazione per modificare i contesti, è uno degli obiettivi. All’interno del Movimento Antiabilista abbiamo parlato molte volte dell’Università e del sapere accademico. Vorremmo allargare il sapere universitario legato alla disabilità a diverse discipline, come la filosofia, la sociologia, l’antropologia, le arti e lo spettacolo. La disabilità è  una caratteristica umana dettata dalla società ma che si trasforma in materia plastica e per questo può essere approcciata in vari campi di studio, sempre con la base dei disability studies.
L’altra dimensione è che non vogliamo che sia uno studio passivo delle nostre esistenze, ma che  la ricerca sia uno  strumento emancipativo su questi temi. La collaborazione tra movimenti-associazioni delle persone disabili e Università deve tenere conto della differenza di potere:

ci hanno studiato tutta la vita ancorandoci - questa è un’esperienza del tutto italiana - a discipline mediche, pedagogiche e psicologiche con l’idea di fondo che studiare noi sia la soluzione. Invece, noi ribadiamo che studiare tutto ciò che è fuori da noi e vedere come si relaziona con le nostre caratteristiche sia la soluzione.

L’altra dimensione è il riconoscimento del sapere che non è solo accademico ma risultato di tanti fattori: esperienze, competenze, studio individuale. Il sapere non formalizzato è un altro punto importante nel nostro manifesto.

Prima di salutarti, ti chiedo un’ultima cosa: come possono contribuire alla lotta antiabilista le persone che vogliono essere vostre alleate e dove seguire le prossime attività del Movimento?
Ci stiamo ancora costituendo, nel senso che al momento è aperto a qualsiasi persona nel rispetto dei principi e obiettivi che abbiamo scritto nel manifesto politico.
Il Movimento Antiabilista ha una pagina instagram, facebook e la email movimentoantiabilista[at]gmail.com