Souls are young: le storie dei nonni in un archivio digitale che unisce le generazioni
La memoria valorizza il legame tra passato e presente: è un processo attivo e condiviso, radicato nei gruppi sociali, nei riti, nei luoghi e nei testi. Insomma, nella cultura. Ma in un mondo che invecchia rapidamente e si digitalizza altrettanto in fretta, l’isolamento delle persone anziane e il divario generazionale possono creare una barriera alla trasmissione dei ricordi. In questo contesto è nato Eufacets, un progetto umanistico-tecnologico che ha portato allo sviluppo di SAY, un’app per trasformare i vecchi album di famiglia in uno spazio interattivo e narrativo.

Chi non ha mai provato un’emozione intensa ritrovando una vecchia fotografia, o ascoltando un racconto capace di far rivivere un ricordo lontano? La memoria è questo: un tesoro che ci definisce, un filo d’oro che lega il nostro passato al presente permettendoci di attribuire significati alle esperienze presenti e future. Non è solo un archivio personale, ma un universo complesso e sfaccettato.
Comprendere la memoria significa esplorare territori affascinanti. A livello psichico e neurale, il nostro cervello è un’architettura incredibile: ogni esperienza lascia una traccia mnestica - ovvero un’impronta neuronale - che può diventare ricordo a lungo termine grazie a un processo di codifica (attraverso cui il cervello traduce un’esperienza in un formato comprensibile) e poi di consolidamento, che ne rafforza la stabilità nel tempo.
Le neuroscienze cognitive studiano questi meccanismi per capire come immagazziniamo informazioni, immagini, volti e sensazioni. Questo processo non è statico: ogni volta che ricordiamo qualcosa, anche in maniera involontaria, la ripassiamo e gli eventi successivi alla memorizzazione possono rafforzare o indebolire le tracce di quel ricordo.
Ricordare è un processo attivo, fatto di continue reinterpretazioni.
Ma la memoria non vive solo dentro di noi. Il sociologo Maurice Halbwachs ci ha infatti insegnato che è anche collettiva. I nostri ricordi assumono forma e significato nei gruppi sociali ai quali apparteniamo: famiglia, amici, comunità.
Lo storico Pierre Nora ha definito la memoria collettiva come un insieme di ricordi, legati a un’esperienza reale o idealizzata, condivisi da una comunità, in cui il senso del passato è parte essenziale dell’identità collettiva. A differenza della memoria individuale o familiare, è istituzionalizzata e dura nel tempo, al di là delle generazioni.
Questa memoria si costruisce e si mantiene tramite strumenti condivisi: il linguaggio, l’istruzione, i riti, le narrazioni e i luoghi della memoria. Monumenti, piazze commemorative e celebrazioni servono a rinnovare costantemente la connessione tra passato e presente.
Un esempio emblematico è la commemorazione del 25 aprile in Italia: ogni anno, attraverso cerimonie ed eventi pubblici, la Liberazione dal nazifascismo viene ricordata non solo come evento storico, ma come fondamento identitario della Repubblica e come valore condiviso.
Su scala più ampia, gli storici Jan e Aleida Assmann hanno parlato di memoria culturale: un insieme di miti, storie, simboli e valori che una società tramanda per costruire identità e coesione. Per esempio i testi sacri, in una cultura religiosa, sono basi simboliche e morali; il rito del lutto e della sepoltura veicolano valori e significati condivisi e tramandati.
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E la cultura, secondo i semiotici Juri M. Lotman e Boris A. Uspenskij, è la “memoria non-ereditaria di una comunità” in continua auto-interpretazione: non è trasmessa biologicamente, ma è appresa e condivisa attraverso segni e simboli, e i suoi significati cambiano con il tempo.
Pensiamo, per esempio, a come ogni epoca rilegge e dà nuove interpretazioni alle figure storiche, oppure all’uso di serie TV e meme come strumenti contemporanei di memoria culturale. Anche le storie di famiglia e i racconti condivisi sono mattoni della nostra identità culturale.
A partire da questo, quindi, possiamo affrontare una delle grandi trasformazioni del nostro tempo: l’Europa, e non solo, invecchia e la digitalizzazione accelera. Questo, se da un lato offre opportunità straordinarie, dall’altro alimenta un digital divide che rischia di escludere intere generazioni, soprattutto le più anziane.
Oggi, l’esclusione digitale può tradursi in isolamento sociale, e avere gravi ricadute sul benessere. Servono quindi soluzioni che non si limitino a fornire accesso alla tecnologia ma che ne ripensino design e scopo per rispondere ai bisogni, relazionali e di senso, delle persone anziane.
In questo scenario è nato Eufacets – EU Face Advanced Communication for Elders Treasuring in Society, un progetto di ricerca che affronta proprio queste sfide. Guidato dal prof. Massimo Leone dell’Università di Torino e finanziato dall’European Research Council (ERC), Eufacets vuole sviluppare una soluzione digitale innovativa per digitalizzare la memoria degli anziani, ma umanizzare quella dei giovani grazie al digitale e agli anziani stessi.
Il cuore di Eufacets è, infatti, SAY (Souls Are Young), un’app che consente alle persone anziane di digitalizzare foto, arricchirle con le proprie storie tramite registrazioni vocali e condividerle con parenti e amici che possono a loro volta aggiungere racconti, aneddoti ed emozioni. Le immagini diventano così scrigni di storie vissute, capaci di creare connessioni semantiche fondate su narrazioni personali, superando i legami spesso superficiali dei social network tradizionali.
La piattaforma è stata progettata con un’interfaccia accessibile pensata specificamente per utenti anziani. Grazie al lavoro di ricerca portato avanti in modo interdisciplinare da semiotici, antropologi, designer e sociologi, abbiamo scoperto che gli anziani non si oppongono alla tecnologia, ma la affrontano con strategie selettive e senso critico:
tra relazioni tra pari, racconto orale e valore simbolico delle foto, la memoria diventa uno spazio condiviso dove la tecnologia si adatta e non si impone.
Gli strumenti della semiotica – come l’analisi di immagini, simboli e modalità di racconto – sono stati fondamentali per sviluppare un design comunicativo inclusivo. Studiando come le persone attribuiscono significato a ciò che vedono e ascoltano, il team ha potuto tradurre concetti tecnologici complessi in esperienze intuitive e ricche di senso adatte a tutte le generazioni.
Il team di semiotici e sociologi ha seguito da vicino la parte iniziale del progetto, che oggi sta entrando in nuova fase: rendere l’accesso e l’utilizzo della piattaforma sempre più semplici e automatici, così da facilitarne l’uso anche da parte di chi ha poca dimestichezza con la tecnologia.
Con la lente e gli strumenti della semiotica abbiamo progettato un'app che non semplifica solo l'interfaccia e le funzioni, ma traduce codici culturali, emozioni e racconti personali in strumenti che permettono agli utenti di accedere con facilità alla piattaforma, costruire relazioni significative e raccontare la propria identità in modo autentico.
È un esempio di come la ricerca umanistica – in particolare la semiotica del volto e la memoria culturale – possa generare innovazioni tecnologiche a forte impatto sociale.
SAY diventerà così un libro digitale di storie, che rafforzerà la memoria collettiva e l’identità culturale delle famiglie, mettendo in pratica le teorie sulla natura sociale del ricordo.
Eufacets e SAY rappresentano una risposta tecnologica profondamente umanistica a bisogni sociali urgenti: combattere l’isolamento degli anziani, promuovere un dialogo vivo tra generazioni, preservare memorie personali e familiari e rafforzare i legami affettivi.
Bibliografia
Assmann, A. 2002. Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, Bologna: Il Mulino.
Assmann J. 1997. La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Torino: Einaudi.
Lotman, J.M. e B.A. Uspenskij. 1975 [1971]. Tipologia della cultura, Milano: Bompiani.
Nora, P. 1978. Mémoire collective, in J. Le Goff (a cura di). La nouvelle histoire, Parigi: Retz-CEPL, 398-401.