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Oltre la cancel culture. Ripensare la memoria collettiva come spazio di partecipazione

Questo contenuto fa parte del tema del mese: Memoria

Chi decide chi e cosa tenere del nostro passato? Dalla statua di Montanelli a Milano a quella di Colston a Bristol, fino al caso di Via col vento, le dispute sulla memoria pubblica rivelano un bisogno urgente di giustizia e riconoscimento. Oltre l’alternativa tra cancellare o conservare in modo acritico, serve una terza via: rileggere i simboli alla luce del presente, far emergere le voci escluse e represse per costruire una memoria davvero democratica e condivisa.

Negli ultimi anni abbiamo assistito sempre più spesso ad atti di danneggiamento, distruzione o abbattimento di monumenti commemorativi  da parte di alcuni gruppi che rivendicano la giustizia sociale di cui la storia li ha privati. Pensiamo ad esempio quando nel 2021 è stata imbrattata la statua di Indro Montanelli a Milano da parte di attiviste e attivisti che contestavano il passato coloniale del giornalista; o all'abbattimento della statua di Edward Colston a Bristol, nel 2020, durante le proteste del movimento Black Lives Matter, in quanto simbolo del passato schiavista britannico.

La nuova targa posta dai manifestanti sotto la statua di Edward Colston a Bristol – Ap
La nuova targa posta dai manifestanti dopo aver rimosso la statua di Edward Colston a Bristol – Ap (2020)


Si tratta di episodi che in alcuni casi, per la violenza della devastazione o per la notorietà del bersaglio, richiamano una forte attenzione mediatica, ma che in realtà nella maggioranza dei casi passano inosservati andando ad alimentare sempre più una conflittualità che intacca il tessuto sociale. 

La condizione di discriminazione vissuta da alcuni gruppi vulnerabili - come donne, migranti, disabili, omossessuali… - dà origine a richieste di cambiamento pienamente legittime.

Tuttavia, se questa consapevolezza rimane confinata solo ai gruppi marginalizzati e non trova ascolto nel resto della società - nelle istituzioni, nei media, nella cultura - il cambiamento rischia di non avvenire. Ciò che rimane invisibile sul piano culturale non è riconosciuto, e così le forme di discriminazione ed ingiustizia continuano. 

Ci muoviamo all’interno di un contesto assai complesso: accogliere certe azioni simboliche di rimozione può aprire la strada a forme di silenziamento fondate sull’ostracismo e sulla gogna pubblica. Le ragioni che animano certe azioni sono valide, perché puntano a smantellare strutture di potere ormai intollerabili, ma queste forme di protesta possono anche degenerare in nuove forme di censura guidate più dal risentimento che dalla volontà di costruire un cambiamento condiviso.
Pensiamo al caso di Via col vento o di alcuni fumetti di Dr. Seuss, ritirati o rieditati perché accusati di contenere rappresentazioni razziste o stereotipate: un esempio di quanto sia sottile il confine tra critica legittima e cancellazione.

La complessità del presente ci impone di andare oltre le apparenze, soprattutto se vogliamo dare corpo a quel che sta succedendo, al di là delle strumentalizzazioni.

Dietro certe rivendicazioni intravediamo qualcosa di più di una richiesta di neutralizzazione della memoria o ancora peggio della storia: un bisogno estremo di cambiamento che, non avendo trovato spazio nei canali della decisione pubblica, straripa, come un torrente interrato, e travolge. Non perché risponde a una volontà di distruzione, ma solo perché non può più fare a meno di emergere, di venire alla luce. 

Nel dibattito pubblico e populista dominato da una visione asfitticamente dicotomica - dove il mantenimento dello stato delle cose o la cancellazione del passato sembrano rappresentare le uniche strade possibili - si perde di vista un aspetto fondamentale:

la memoria collettiva ha una natura inequivocabilmente comunicativa e una dimensione che è stata definita “ecologica”, cioè si costruisce come atto comunitario. Se non è condivisa, discussa, costruita insieme, semplicemente non esiste.

Le reazioni ora di allarme ora di sdegno che certe azioni di rivendicazione pubblica generano sembrano non tener conto di un fatto centrale: se vogliamo prendere sul serio il pluralismo e l’inclusione, dobbiamo accettare che comportano necessariamente l’insubordinazione a un assetto storico-memoriale quando questo non riflette e non rappresenta più il progetto condiviso della comunità.

Diversamente da quanto accaduto in passato, oggi lo spazio pubblico della memoria non può più essere concepito come qualcosa di fisso, univoco e calato dall’alto. Deve essere concepito come ambito in cui prende forma un processo partecipativo che coinvolge tanto i pubblici poteri quanto i cittadini e i gruppi.

Limitarsi a cancellare non può che consolidare una visione rigida e unilaterale del passato, quella che per anni ha imposto una sola narrazione, escludendo tutte le altre. Ciò che bisogna favorire è l’emersione di voci e storie rimaste ai margini, mai ascoltate o represse. La memoria celebrativa deve lasciare posto a nuove forme memoriali capaci di far dialogare i diversi punti di vista, di definire nuovi scenari e avviare narrazioni condivise.

Alla scelta tra abbattere e conservare si dovrà allora contrapporre una prospettiva più sfidante: una terza via, orientata alla ricontestualizzazione, alla risemantizzazione dei segni e dei simboli della memoria pubblica. Questa strada non nega il passato (i cui effetti permangono anche quando ne cancelliamo le tracce) ma lo interroga e lo decifra alla luce del presente, per costruire un futuro più giusto, anche dal punto di vista sociale. 

Ci hanno provato ad Amburgo, con la statua imponente di Otto von Bismarck: in risposta alle crescenti richieste di rimozione del monumento, la Città ha lanciato il progetto "Rethinking Bismarck", un concorso internazionale per trasformare la statua da puro oggetto celebrativo a uno strumento di riflessione sul passato coloniale della Germania. Questo percorso ha stimolato un dibattito pubblico e ha portato alla realizzazione di installazioni artistiche temporanee e pannelli informativi che illustrano anche gli aspetti più controversi del cancelliere.


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In un’epoca che drammatizza lo scontro annullando le sfumature del dibattito appare quasi impossibile riuscire a trovare le parole, il tempo, lo spazio per affrontare con lucidità le dispute memoriali che attraversano le nostre società. Eppure è proprio da qui che dovrebbe partire la costruzione di una memoria democratica, fondata su una storia più caleidoscopica in cui trovano spazio più protagonisti e più voci. Le politiche della memoria - cioè le scelte pubbliche su come ricordare, cosa ricordare e con quali strumenti -  devono fare della comunicazione e del linguaggio, simbolico e non, il loro registro espressivo.
Solo ri-contestualizzando le istituzioni e le società possono iniziare a considerare la memoria pubblica non solo come strumento di conservazione del passato, ma anche come leva per attivare il cambiamento, che nasce da un nuovo modo di raccontarci: raccontare ciò che possiamo essere e riconoscendoci per ciò che siamo, umani e disumani allo stesso tempo.