“Come stai?” in tutte le lingue: il valore della diversità nel futuro della sanità italiana
Il diversity management nel settore sanitario valorizza le differenze culturali, di genere e di abilità per arricchire il capitale umano, strutturale e relazionale delle organizzazioni. Una ricerca delle Università di Milano e Torino evidenzia come queste pratiche migliorino l’efficacia delle cure e la soddisfazione del personale, rispondendo ai bisogni di una società multiculturale. Tuttavia, persistono lacune nella gestione delle diversità culturali, religiose e di orientamento sessuale. Un approccio più inclusivo potrebbe trasformare il sistema sanitario italiano, rendendolo più equo e competitivo.

Il settore sanitario si trova oggi ad affrontare sfide complesse, legate a fenomeni globali come l’invecchiamento della popolazione, i flussi migratori e la crescente diversificazione culturale delle società.
Ad esempio, durante un turno in pronto soccorso, può capitare che un’infermiera si trovi a dover assistere una donna anziana, visibilmente disorientata, che si esprime soltanto in dialetto stretto e rifiuta il contatto fisico con operatori uomini.
Contemporaneamente, nell’ambulatorio accanto, un medico cerca di spiegare a un giovane paziente di fede musulmana l’importanza di una terapia salvavita che, tuttavia, include una componente di origine suina, sollevando un conflitto etico e religioso.
Queste situazioni raccontano non solo la complessità della cura, ma anche la sfida più profonda: comprendere e integrare le diversità culturali, linguistiche, religiose e generazionali senza compromettere la dignità né l’efficacia clinica.
In questo contesto, le organizzazioni sanitarie devono evolversi per garantire risposte efficaci e inclusive. Ma come?
La risposta potrebbe risiedere nel diversity management, un approccio strategico che valorizza le differenze culturali, di genere e di abilità dei lavoratori, trasformandole in un vantaggio che permetta di stare al passo con un contesto sempre più complesso da gestire.
Il diversity management non è infatti di un concetto teorico, ma una risorsa concreta che permette all’organizzazione sanitaria di leggere correttamente i bisogni, adattare l’offerta, prevenire incomprensioni e rafforzare la fiducia, trasformando la differenza in valore.
In collaborazione con un gruppo di ricercatrici e ricercatori dell’Università di Milano abbiamo recentemente esplorato questa possibilità, analizzando il legame tra gestione della diversità e capitale intellettuale nelle organizzazioni sanitarie italiane, dove per capitale intellettuale si intende quell’insieme di conoscenze, competenze e relazioni che generano valore per l’organizzazione. Il nostro lavoro, pubblicato sul “Journal of Intellectual Capital”, getta nuova luce su un tema cruciale per il futuro della sanità.
Un progetto innovativo per la gestione della diversità
Lo studio si è sviluppato in due fasi. Nella prima, attraverso un’analisi delle pubblicazioni scientifiche, abbiamo identificato le variabili chiave legate alla diversità e al capitale intellettuale nel contesto sanitario. Successivamente, abbiamo analizzato i documenti strategici di 17 organizzazioni sanitarie italiane per valutare l’adozione pratica di queste politiche.
I risultati hanno evidenziato che il diversity management supporta in modo trasversale lo sviluppo e il rafforzamento dei tre principali capitali intangibili: umano, strutturale e relazionale.
Il capitale umano viene arricchito attraverso la valorizzazione delle competenze, delle esperienze e delle sensibilità di professionisti provenienti da background differenti, favorendo un ambiente inclusivo che stimola motivazione, apprendimento continuo e innovazione.
Il capitale strutturale trae beneficio dall’integrazione della diversità nei processi organizzativi, nelle politiche di leadership e nei sistemi di gestione, contribuendo alla costruzione di una cultura aziendale aperta, dinamica e capace di adattarsi rapidamente ai cambiamenti.
Infine, il capitale relazionale si rafforza grazie alla maggiore capacità dell’organizzazione di instaurare relazioni di fiducia con pazienti, famiglie e stakeholder esterni, rispondendo con maggiore sensibilità e competenza alla pluralità di bisogni presenti sul territorio.
Secondo lo studio, alcune organizzazioni sanitarie italiane si distinguono per un approccio più strutturato e strategico al diversity management, integrato nella pianificazione e nella gestione del capitale intellettuale.
Tra queste spiccano l’ASL Catanzaro, unica a esplicitare il legame tra formazione antidiscriminatoria e benessere organizzativo; l’ASL della provincia di Foggia, attenta all’equilibrio di genere e promotrice del Gender Equality Plan; l’Azienda USL di Modena, che adotta un linguaggio inclusivo e valorizza le differenze culturali.
Meritevoli anche l’AOU Pisana, che include nelle proprie pratiche la valorizzazione delle minoranze e delle differenze di orientamento sessuale e genere, e l’ASL di Potenza, che integra strumenti di gender budgeting - ossia che analizza le scelte finanziarie di un'amministrazione in ottica di genere, valutando il loro impatto differenziato su uomini e donne - e considera la diversità una risorsa per la qualità del servizio.
Sebbene nessuna realtà applichi ancora una strategia pienamente sistemica, questi esempi evidenziano come il diversity management possa diventare leva concreta di innovazione e miglioramento organizzativo.
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Un impatto concreto sulla società
Perché tutto questo è importante?
Perché un sistema sanitario inclusivo e attento alle diversità non solo migliora la qualità delle cure, ma risponde anche ai bisogni di una società sempre più eterogenea. Ad esempio, la presenza di personale diversificato facilita l’interazione con pazienti di background culturali diversi, riducendo incomprensioni e barriere linguistiche. Inoltre, promuovere l’equità di genere nei ruoli di leadership e includere persone con disabilità nel personale sanitario migliora il clima aziendale, riduce i conflitti e aumenta la motivazione del personale.
Infine un’organizzazione che valorizza le diversità rafforza la propria reputazione e costruisce fiducia nella comunità, aumentando la soddisfazione dei pazienti (capitale relazionale). Questo circolo virtuoso si traduce in un miglioramento complessivo della performance delle strutture sanitarie.
Prospettive future e sviluppi
Nonostante i progressi, lo studio evidenzia ancora margini di miglioramento. Sebbene alcune organizzazioni abbiano adottato strumenti come i bilanci di genere o i piani di equità, restano carenze significative nella gestione della diversità culturale, religiosa e orientamento sessuale. Sarebbe quindi opportuno integrare queste variabili nei documenti strategici, come il Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO, lo strumento unico di programmazione e governance delle pubbliche amministrazioni italiane che definisce obiettivi, azioni e risorse per migliorare i servizi), e promuovere politiche più inclusive nei processi di selezione del personale e nell’erogazione dei servizi.
In futuro, un approccio più sistematico al diversity management potrebbe trasformare il settore sanitario italiano, rendendolo non solo più equo, ma anche più efficace e competitivo. Investire nella diversità significa infatti prepararsi alle sfide di una società in continua evoluzione, offrendo cure di qualità che rispondano alle esigenze di tutti e tutte.
Gruppo di lavoro:
Valerio Brescia, Michele Oppioli, Ginevra Degregori e Gabriele Santoro
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