Storie di ricerca

Come si misura il nostro benessere? Il welfare oltre reddito e consumi

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Reddito e consumi non bastano a dirci se viviamo bene. La benessemetria - una nuova disciplina che studia come misurare il benessere reale delle persone - propone un approccio interdisciplinare, fatto di dati, algoritmi e interpretazioni sociali, per capire come i diversi fattori economici, psicologici e culturali contribuiscano davvero al nostro welfare.

C’è un interrogativo che accompagna le nostre società da quando abbiamo superato la fase della pura sopravvivenza: come si misura il benessere di una collettività

Non basta guardare al reddito, al consumo o al prodotto interno lordo, perché il benessere non è un concetto statico: cambia con le preferenze degli individui, con i contesti storici e con i modelli culturali.

Per affrontare questa complessità è nata la ricerca sulla benessemetria, una disciplina che prova a elaborare strumenti capaci di cogliere e sintetizzare le variabili che concorrono al benessere. 

L’idea di fondo è costruire un “benessometro”: non un oggetto fisico, ma un insieme di algoritmi che collegano beni, servizi e condizioni sociali con la reale utilità percepita dalle persone. In altre parole, non si tratta solo di misurare “quanto” abbiamo, ma “quanto bene” ci fa ciò che abbiamo.

Dal consumo al benessere

La relazione tra consumo e benessere non è lineare. Finché la crescita economica offriva nuove opportunità, si pensava che ogni desiderio potesse tradursi in appagamento, quasi a rendere sinonimi consumo e felicità. La crisi economica e sociale ha mostrato i limiti di questa visione: le risorse non sono infinite e i bisogni vanno gerarchizzati. A complicare il quadro intervengono fattori esterni come la pressione fiscale, i costi dei servizi essenziali e le strategie pubblicitarie che indirizzano scelte e desideri.

Il risultato è che una parte consistente del reddito non è realmente disponibile alla libera scelta, mentre automatismi sociali e culturali suggeriscono come spendere quello che resta. Da qui nasce la necessità di una metodologia capace di distinguere i consumi necessari da quelli effimeri e di valutare l’effettiva utilità di ciò che acquistiamo.
 

Algoritmi e interdisciplinarità

Tradizionalmente, i modelli di misurazione hanno cercato di esprimere il beneficio come prodotto tra quantità di beni e servizi consumati, prezzo e livello di utilità percepita. Ma il vero vantaggio di un bene non dipende solo dal costo o dalla quantità: è una combinazione unica e irripetibile di fattori personali e collettivi, filtrati dal modo in cui ognuno interpreta la propria vita.
Per questo la benessemetria chiama in causa diverse discipline - economia, statistica, sociologia, psicologia - che insieme possono costruire strumenti più vicini alla realtà. 

Non si tratta di formule rigide, ma di algoritmi socio-economici e antropologici, capaci di descrivere, se non quantificare del tutto, l’esperienza del benessere.

Ed è proprio qui che entra in gioco il mio percorso personale: il lavoro che presento nasce dalle esperienze che ho maturato operando per anni nei tre grandi mondi del pubblico, del privato e del non profit. Questo mi ha permesso di osservare da vicino come variabili differenti - politiche istituzionali, logiche di mercato, dinamiche comunitarie - interagiscano nel determinare il successo o il fallimento delle azioni manageriali. È in quella prospettiva che ho cominciato a interrogarmi su come questi fattori, intrecciandosi, influiscano sulla qualità della vita collettiva e possano diventare parte di una nuova forma di misurazione del welfare.

Un impatto che va oltre i numeri

La forza del benessometro non sta nel risolvere i problemi, ma nel fornire chiavi di lettura. Permette di capire quali fattori sociali ed economici influenzano le tendenze collettive e riconosce che non tutto può essere tradotto in valore monetario. Esperienze come il volontariato, le relazioni sociali o la partecipazione comunitaria generano benefici reali che non si possono ridurre a un prezzo.

Il benessometro infatti, grazie alla sua struttura algoritmica, raccoglie dati di diversa natura e li elabora per mostrare come influenzano il benessere individuale e collettivo. In questo modo, diventa possibile capire quali componenti sociali hanno un effetto maggiore sulla qualità della vita e come contribuiscono agli equilibri di una comunità, offrendo una visione più chiara e concreta delle dinamiche del vivere bene.

Nei periodi di crisi, questa prospettiva diventa ancora più preziosa: la società riscopre beni e servizi il cui valore non è determinato solo dall’incontro tra domanda e offerta, ma anche da criteri etici e culturali. È qui che la benessemetria mostra la sua utilità, offrendo nuove scale di valori e descrizioni più accurate del vivere bene.
 

Verso il welfare del futuro

Il futuro di questa disciplina sarà la costruzione di strumenti sempre più condivisi e partecipativi. Perché il benessometro nasce nel confronto tra cittadinanza, istituzioni, imprese e mondo non profit. Solo così sarà possibile avvicinarsi a una definizione più autentica e utile del welfare: non come somma di consumi, ma come equilibrio tra risorse, scelte e qualità della vita.
E forse, in questo cammino, scopriremo che il vero benessere non si misura solo con numeri e algoritmi, ma anche con la capacità di dare senso alle nostre azioni quotidiane.