Brand
Ecosistemi, Biodiversità e Comportamento animale

Flavescenza dorata: la strega cattiva di una favola dai dolci risvolti

Foto: Zbynek Burival / Unsplash

Viene trasmessa da un insetto e a causa sua le foglie di vite vivono un autunno anticipato che porta progressivamente la pianta alla morte. È la Flavescenza dorata, una malattia che in Piemonte ha conseguenze disastrose sulla produzione di vino. Attraverso quali meccanismi molecolari interagiscono pianta e patogeno? E cosa c’è alla base del processo di risanamento di cui sono capaci alcune piante? La risposta potrebbe trovarsi nell’elemento di cui tutti sono golosi: lo zucchero. 

Cena a casa di amici di amici. Tipica conversazione da spritz e patatine pre-convivio. “E tu lavori all’università giusto? Ma di che ti occupi già?” Flavescenza dorata. Un nome dal sapore un po’ fiabesco, quasi esotico, mi sento dire solitamente.
Ecco, se si trattasse realmente di una favola, la Flavescenza dorata sarebbe però il perfido antagonista della storia. L’affascinante ma cattivissima strega malvagia che tiene in ostaggio di un terribile incantesimo la tenace eroina, che sembra destinata a soccombere (come ci racconta qui il professor Alma, ndr).

La flavescenza dorata è infatti una malattia che colpisce duramente gli esemplari di Vitis vinifera, le amate viti che così bene disegnano le colline della nostra bella regione. Di natali francesi, globalmente riconosciuta infatti come Flavescence dorée, è portatrice di quello che si potrebbe definire un autunno anticipato: fin dall’inizio dell’estate, le foglie delle piante colpite si colorano infatti di un rosso intenso, che vira in seguito verso una tonalità dorata che ne accompagna il progressivo disseccamento. Anche le infiorescenze prima o le bacche poi sono destinate a bruciarsi e morire, incidendo gravemente sulla produzione in termini di quantità e qualità. Gli scompensi fisiologici che causano tali sintomi e, in fasi aggravate, la morte della pianta sono provocati da colonie di batteri, i fitoplasmi, che si annidano e moltiplicano nei vasi della linfa elaborata, attingendo a tutto il nutrimento di cui necessitano. I microesserini, tanto dannosi da essere inseriti nella lista EPPO (European and Mediterranean Plant Protection Organization) dei patogeni da quarantena, raggiungono questi vasi grazie all’aiuto dell’insetto Scaphoideus titanus, il quale per riempirsi lo stomaco punge le foglie delle viti e durante la suzione inghiotte sì gli zuccheri, ma anche i fitoplasmi, veicolandone la diffusione. Attualmente in Piemonte le uniche strategie atte a contenere l’infezione sono quelle regolamentate dal decreto legge vigente, che si articola su tre misure principali: l’eradicazione delle piante infette o in casi gravi dell’intero vigneto, i trattamenti insetticidi volti a contenere la popolazione del vettore (S. titanus, in questo caso) e la gestione degli incolti e dei vigneti selvatici, fonti di inoculo pericolose.

Tuttavia, anche in caso di contagio diffuso, non tutto è perduto. In vigneto, si sono osservati fenomeni di risanamento spontaneo di esemplari infetti. Il nostro gruppo di ricerca si occupa da tempo di studiare i meccanismi molecolari e fisiologici alla base di tale fenomeno, con l’obiettivo di svelarne i segreti e individuare modalità più sostenibili, sul piano ambientale ed economico, di gestione della malattia. Nello specifico, per quello che mi riguarda, è a questo che dedico il mio dottorato di ricerca.

In particolare, abbiamo nel tempo rivolto la lente su ciò che accomuna gli interessi di pianta, insetto e patogeno: gli zuccheri e più nello specifico il saccarosio. Questa molecola è infatti per il fitoplasma e l'insetto vettore un’ottima fonte nutritiva; nella pianta invece, non solo si tratta dello zucchero presente in maggiore concentrazione, ma ricopre anche una funzione di molecola segnale. Questo significa che cambiamenti più o meno improvvisi del contenuto di saccarosio inducono una reazione nelle nostre piante, con conseguenze a cascata. Di recente abbiamo osservato che alle prime fasi del processo di risanamento corrisponde un picco nella concentrazione di saccarosio, che poi ritorna ai livelli consueti nella pianta risanata. La stessa cosa non si può dire nelle piante che non riescono a riprendersi dall’infezione, dove si nota un innalzamento dei livelli di saccarosio che poi rimane costante. Questo zucchero ha quindi un ruolo? Quale? Esiste un livello soglia che può in alcuni casi influenzare positivamente il processo di risanamento e in altri invece ostacolarlo, portando addirittura a un aggravamento dei sintomi?

Lo racconterò volentieri in un prossimo racconto di ricerca. Per ora lasciatemi dire che vale proprio la pena di farsi trovare con le mani… nello zucchero!


IMMAGINI

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Cristina Morabito
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

07 luglio 2020

condividi

potrebbero interessarti anche