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Neuroni immaturi: riserva di cellule giovani nel cervello che invecchia?

© Luca Bonfanti

Viviamo sempre di più, esponendo il cervello ai rischi di demenza senile. E il problema è che, con l'età, tendiamo a perdere neuroni che muoiono senza essere sostituiti. Ma i neuroni “immaturi” potrebbero rivelarsi delle preziose "riserve di giovinezza"...
Il racconto si inserisce nella Proposta di Lettura Magnifiche presenze. Visioni dantesche nella ricerca di oggi. La scelta dell'estratto della Divina Commedia e il relativo commento sono a cura del professor Donato Pirovano e del Comitato studentesco Per correr miglior acque.

Poi si rivolse, e parve di coloro
che corrono a Verona il drappo verde
per la campagna; e parve di costoro
quelli che vince, non colui che perde

(Inferno XV, vv. 121-124)

Questa è l’ultima immagine oltremondana che Dante ha di Brunetto Latini, ormai anziano e impegnato a scontare la pena sotto la pioggia infuocata dei Sodomiti. Egli si è attardato dal resto dei dannati per parlare con Dante e, congedatosi, raggiunge di corsa la schiera di dannati, come se fosse vincitore di una staffetta, dimostrando così, nonostante l’età, la sua longevità di corridore.


NEURONI IMMATURI: RISERVA DI CELLULE GIOVANI NEL CERVELLO CHE INVECCHIA?

La vita umana si allunga sempre di più, ma il cervello riesce ad adeguarsi senza perdere colpi? A quanto pare no, visti i dati sull’incidenza di demenze e malattie neurodegenerative: milioni di persone colpite nel mondo, con una tendenza a triplicare nel 2050.
Questo perché il cervello non è in grado di rinnovare le cellule nervose, come fanno molti altri organi (pelle, sangue, osso): quando un neurone muore non viene sostituito da nuovi neuroni e con l'avanzare dell'età il loro numero tende a diminuire. Quindi, l’epidermide o i linfociti di un novantenne avranno pochi mesi, mentre i suoi neuroni avranno… 90 anni! Molte speranze sono state riposte nella “neurogenesi adulta”: la possibilità di generare nuovi neuroni nel cervello adulto a partire da cellule staminali scoperte negli anni ’90 in piccole regioni cerebrali del topo. Il problema è che, dopo tutto questo tempo e tanti lavori scientifici (9.600!), è emerso che la neurogenesi adulta ha scarse capacità riparative nei mammiferi (a differenza, per esempio, dei pesci) e risulta fortemente ridotta nella specie umana. Nel topo, che in media vive un anno, la genesi di neuroni continua per quasi tutta la vita, ma nell’uomo si esaurisce già in età giovanile (tra i 2 e i 13 anni).

Proprio all’inizio degli anni ’90 mi trovavo all’estero a studiare una molecola di “immaturità” tipica del cervello fetale, per capire se rimaneva espressa anche nell’adulto (questo era il mio compito di postdoc). In effetti, studiando i topi, trovai che alcuni neuroni “immaturi” persistevano nella paleocorteccia, la parte più antica della corteccia cerebrale (Bonfanti et al., 1992) . Più avanti, si scoprì che questi neuroni, sebbene molto simili a quelli neo-generati, sono lì da prima della nascita, restando in uno stato “giovanile”, come cellule in stand-by.

Per molti anni la comunità scientifica, assorbita dal fascino della neurogenesi adulta, dimenticò i neuroni immaturi. Poi, alcuni studi (tra cui i nostri) li trovarono anche nella neocorteccia (la parte più recente e più nobile della corteccia cerebrale) di alcune specie animali “un po’ più grosse” del topo, come il coniglio e la cavia. Abbiamo così deciso di studiare questi neuroni nella pecora, che è più simile a noi, avendo un cervello più grande e un’aspettativa di vita di 15-25 anni (Piumatti et al., 2018). Sorprendentemente, vi è grande abbondanza di neuroni immaturi, non solo nell’intera neocorteccia ma anche in regioni cerebrali legate alla decodifica delle emozioni e degli stati coscienti. Ciò supporta l’ipotesi che la plasticità dei neuroni immaturi potrebbe essere stata scelta dall’evoluzione in specie animali che hanno scarsa neurogenesi, come la nostra. Per verificarne la validità, grazie a Chiara La Rosa, dottoranda in Scienze Veterinarie, stiamo ora studiando il cervello di 14 specie di mammiferi, dai pipistrelli allo scimpanzé, alla ricerca della distribuzione neuroanatomica e della quantità relativa dei neuroni immaturi. I risultati confermano le aspettative, ma il passo successivo è l’uomo: la specie che ha più bisogno di una “riserva di neuroni giovani”. Ma questa è un’altra storia.


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