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Infezioni e difese

Ossigeno a "nanosorsi" per limitare i danni di ipossie nei tessuti

L’ossigeno disciolto in nanobolle si è rivelato altamente biodisponibile e capace di limitare le conseguenze dell’ipossia e di riequilibrare l’espressione di molti fattori di crescita e metalloproteasi anche in cellule di tessuti in rapida riproduzione (feto placentari e tumorali)

L’ossigeno gioca un ruolo cruciale nel metabolismo cellulare, ma molte patologie degenerative come quelle vascolari, o acute, come le infiammazioni, possono limitarne o impedirne l’accesso (ipossia). Le conseguenze più evidenti si hanno sugli organi in crescita, per i quali l’ipossia può alterare la neoformazione vascolare con conseguenti limitazioni di sviluppo dell’organo stesso. Il nostro progetto si è proposto di valutare se, apportando ossigeno disciolto in nano-recipienti (nanobolle) biocompatibili e biodegradabili, fosse possibile modificare le conseguenze dell’ipossia nelle cellule in rapida riproduzione, come quelle del sistema feto-placentare e tumorale, senza effetti collaterali tossici. Studiando cellule placentari e loro strutture (villi coriali) e cellule di coriocarcinoma (un tumore raro che si sviluppa in genere all'interno dell'utero, legato al periodo gestazionale) abbiamo osservato che la somministrazione di ossigeno tramite nano bolle è molto efficace ed è in grado di limitare la produzione di sostanze indotte dall’ipossia che promuovono la formazione di nuovi vasi e di riequilibrare l’espressione di molte metalloproteasi, (una particolare famiglia di enzimi), e dei loro inibitori.

Ci siamo poi concentrati sulle modalità di somministrazione, sfruttando il fatto che le nano bolle, essendo almeno in parte gassose, potevano beneficiare dell’uso di ultrasuoni (ritenuti innocui anche durante la gravidanza) per favorire la penetrazione attraverso barriere, come l’epidermide, e membrane, come quella cellulare. Ulteriori studi ancora in corso ci stanno permettendo di usare gli ultrasuoni anche per visualizzare le nano bolle nel loro percorso nei tessuti. Abbiamo infine valutato la possibilità di usare le nano bolle come veicoli per farmaci, come per esempio potenti antitumorali quali la doxorubicina, e per escludere fenomeni di tossicità non voluti, come quelli legati alla formazione di radicali liberi dell’ossigeno.

Come spesso accade, partendo dall’obiettivo specifico abbiamo imparato molte cose che ci portano ad applicazioni più generali, legate per esempio alla terapia delle ferite e delle ulcere di origine vascolare, al miglioramento delle prestazioni dei liquidi usati nelle fasi di conservazione e di trasporto degli organi da trapianto, o ancora per ottimizzare l’ossigenazione cellulare negli organi artificiali. Tuttavia ci è stato finora impossibile fare il salto tra la ricerca di base e l’applicazione della nostra tecnologia nella pratica clinica, perché sono necessarie costose pratiche per ottenere le autorizzazioni alla messa in commercio delle nanobolle come dispositivo medico. Nonostante molti sforzi e l’interesse di alcune piccole ditte, nonché molte richieste inutili di finanziamento per la ricerca applicata, dovute anche al fatto che nel nostro Paese manca una corretta dinamica di rapporto tra ricerca e impresa, siamo ancora in attesa, ma abbiamo fiducia che la nostra idea possa prima o poi diventare operativa.

un racconto di
Caterina Guiot
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

16 gennaio 2017

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