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Malattie e prevenzione

Amianto e mesotelioma: alla ricerca di nuovi markers tumorali

Ammalarsi di mesotelioma pleurico in seguito a esposizione all’amianto è ancora oggi un problema molto attuale, soprattutto qui in Piemonte. Si tratta di un tumore grave e poco curabile: occorre quindi identificare nuovi biomarcatori utili alla sua diagnosi precoce e alla terapia.

Ho trascorso parte della mia vita tra le colline del Monferrato, e per molto tempo ho sentito parlare dei danni conseguenti all’esposizione all’amianto qui in Piemonte: il caso “Eternit” di Casale Monferrato, in provincia di Alessandria rappresenta ancora oggi, a livello italiano e mondiale, l’esempio classico di quanto l’amianto sia pericoloso, soprattutto a livello polmonare perché può provocare lo sviluppo del mesotelioma pleurico maligno, la cui incidenza continua a essere alta, anche dopo anni dalla chiusura di quell’azienda.

Il mesotelioma è un tumore molto aggressivo, spesso diagnosticato quando è già in fase avanzata e per questa ragione la prognosi è molto sfavorevole e l’approccio farmacologico molto difficile.
Ho studiato per molti anni gli effetti tossici dell’amianto a livello polmonare in collaborazione con il Centro Scansetti dell’Università di Torino (professoressa Bice Fubini): l'esposizione all'asbesto provoca nei polmoni un’infiammazione cronica e un forte stress causato dalla produzione dei ben noti radicali liberi, importanti mediatori della tossicità e della cancerogenicità dell'amianto. Le cellule polmonari cercano in ogni modo di contrastare questo “stress” attivando alcune proteine ​​coinvolte nella difesa cellulare, tanto che una volta che le cellule sane perdono il controllo diventando tumorali, queste proteine risultano particolarmente allenate e quindi più attive che in condizioni normali: il tumore diventa così capace di sopravvivere e resistere alla difesa immunitaria e alla chemioterapia.

I primi risultati ottenuti nel nostro laboratorio hanno identificato tre proteine in particolare, Nrf-2, Ref-1 e FoXO, non ancora chiaramente associate al mesotelioma, ma che risultano essere iperattivate nelle cellule di mesotelioma e non in quelle mesoteliali sane. Per aumentare il numero di dati su cui confermare questi promettenti risultati, il nostro laboratorio ha iniziato a collaborare con tre importanti Istituti per la diagnosi e il trattamento del mesotelioma in Italia: l’Azienda Ospedaliera SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria e le aziende ospedaliere Universitarie San Luigi Gonzaga di Orbassano (TO) e Città della Salute e della Scienza di Torino. Nello specifico questi ospedali ci stanno mettendo a disposizione i campioni biologici di mesotelioma e non-tumorali raccolti nelle loro bio-banche.

Il fine ultimo di questa ricerca? Vogliamo capire se le proteine ​​iperattivate nel mesotelioma che abbiamo identificato possono essere indicate come possibili nuovi biomarcatori diagnostici e bersagli terapeutici. Il mesotelioma si sviluppa infatti a distanza di circa 20-40 anni dall’esposizione all’amianto: diventa quindi cruciale oggi monitorare le persone esposte a suo tempo all’asbesto, attraverso la misura dei biomarcatori identificati. Inoltre, il mesotelioma è un tumore molto refrattario alla terapia tradizionale: il passo successivo sarà quello di inibire tali proteine e provare a bloccare la progressione di questo tumore così aggressivo e poco curabile, aprendo la possibilità a nuovi approcci terapeutici volti a migliorare la prognosi del mesotelioma.

un racconto di
Elisabetta Aldieri
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

17 giugno 2020

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