Brand
Terra e Oceani

Misurare la temperatura dei vulcani… dallo spazio!

Vulcano Fuego (Guatemala) in eruzione visto dal SENTINEL 2 (Fonte ESA-Copernicus)

Visti dallo spazio i vulcani rivelano tutto il loro fascino, la loro potenza e la loro capacità di influenzare le nostre vite e l’ambiente in cui viviamo. Tuttavia, il loro monitoraggio è dispendioso, talvolta pericoloso e molto spesso inadeguato. I dati satellitari offrono una nuova prospettiva per monitorare questi affascinanti giganti.

Si stima che durante l’Olocene, l’epoca geologica più recente iniziata circa 12mila anni fa, abbiano eruttato o mostrato segni di attività più di 1300 vulcani. Alcuni, come l’Etna, il Vesuvio, il Krakatau in Indonesia e il monte St. Helens negli Stati Uniti, sono largamente conosciuti perché tuttora molto attivi o perché hanno prodotto eruzioni recenti rimaste nella storia. Molti altri vulcani sono invece “dormienti” da centinaia o migliaia di anni, ma non per questo sono da considerarsi “estinti”.
A poca distanza da tutti questi vulcani attivi o “potenzialmente attivi”, vivono circa 300 milioni di persone, un numero destinato a crescere esponenzialmente nei prossimi anni, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Per poter valutare efficacemente la pericolosità di ognuno di questi vulcani, gli studiosi hanno in mano due strumenti fondamentali: lo studio delle eruzioni passate e il monitoraggio continuo dello stato attuale del vulcano. Purtroppo, però, ancora oggi per circa il 90% questi vulcani non possiedono una rete di monitoraggio adeguata che possa individuare per tempo i piccoli segni di irrequietezza, presagi di una nuova eruzione.

Una tecnica emergente che può parzialmente colmare questa lacuna si basa sulla raccolta e lo studio dei dati satellitari. Questo tipo di monitoraggio dallo spazio, può infatti essere applicato su scala globale ed è in grado di rilevare con precisione tre tipi di “segnali” comunemente associati a una eruzione vulcanica:
(i) la deformazione dell’edificio vulcanico, utilizzando le microonde;
(ii) l’emissione di gas vulcanico, grazie alla radiazione ultravioletta;
(iii) la comparsa e la persistenza di anomalie termiche rivelate dalla radiazione infrarossa.

È in questo ultimo ambito che, nel 2013, nasce presso il nostro Dipartimento il progetto MIROVA (Middle Infrared Observations of Volcanic Activity), con l’obiettivo di fornire supporto al monitoraggio vulcanico di Etna e Stromboli e fornendo misurazioni del flusso di calore prodotto continuamente dall’attività di questi due spettacolari vulcani. Data la sua versatilità, il sistema è stato presto esteso a molti altri vulcani, e attualmente monitora, in automatico e in tempo reale, l’attività termica di oltre 200 vulcani in tutto il mondo.

I dati prodotti sono usati quotidianamente da molti osservatori vulcanologici per valutare la presenza/assenza di attività termica in vulcani pericolosi e difficilmente accessibili come i vulcani delle Ande, alti più di 5000 metri e ricoperti da ghiacciai, o quelli indonesiani immersi nel mezzo di impenetrabili foreste.

Negli ultimi anni questi dati hanno permesso di scoprire alcuni aspetti delle eruzioni vulcaniche finora insospettati. Ad esempio, i dati termici hanno permesso di scoprire che la drammatica eruzione del Krakatoa del 22 Dicembre 2018, che ha causato una letale onda di tsunami, è stata preceduta da una intensa attività effusiva che ha “sovraccaricato” l’isola di materiale vulcanico, predisponendo un fianco del vulcano al collasso in mare e, di conseguenza, allo tsunami stesso.
In Islanda, i dati satellitari hanno consentito di comprendere che la formazione di alcune caldere vulcaniche, come quella del Bárdarbunga (un enorme cratere di 10 km diametro), è associata allo svuotamento di una camera magmatica per mezzo di lunghi dicchi (fratture piene di magma) che possono trasportare il magma a decine di km di distanza dalla caldera, causando imponenti colate di lava, lunghe fino a 20 km.
Misurando contemporaneamente il flusso termico e il gas emesso dai crateri si è invece riusciti a quantificare quanto magma si accumula all’interno dell’Etna, o come i vulcani gemelli di Stromboli, situati nei lontani mari del sud-est asiatico e chiamati così perché d’aspetto molto simili tra loro, hanno in realtà caratteri decisamente diversi! Al Piton de la Fournaise, un vulcano molto attivo situato sull’isola della Réunion, nell’Oceano Indiano, i dati forniti da MIROVA vengo impiegati durante le frequenti eruzioni per “modellizzare” il percorso che farà la lava, per prevedere se gli abitati a valle sono a rischio di evacuazione o se l’unica strada che fa il giro dell’isola rischia di essere invasa dalla lava.

Grazie a questi dati acquisiti ogni giorno dallo spazio contribuiamo a valutare diversi fenomeni eruttivi e stiamo scoprendo molti aspetti dei vulcani che sono visibili solo se visti “da lontano” e per lunghi periodi. I vulcani “vivono” molto più a lungo di noi e dobbiamo imparare a convivere con loro in maniera adeguata e sicura e ad adattarci ai loro cambiamenti, lenti o repentini che siano. L’era dell’osservazione terrestre dallo spazio è appena cominciata e, grazie a sensori sempre più raffinati, ci aspettano tantissime scoperte!

Gruppo di ricerca: Diego Coppola (diego.coppola@unito.it), Marco Laiolo (marco.laiolo@unito.it), Francesco Massimetti (francesco.massimetti@unito.it), Corrado Cigolini (corrado.cigolini@unito.it).


IMMAGINI

ESPLORA I TEMI


un racconto di
Diego Coppola
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

26 giugno 2020

condividi

potrebbero interessarti anche