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Pelle di squalo e tele di ragno: ispirarsi alla natura per manipolare l’attrito

Pelle di squalo ingrandita al microscopio (135X). Foto: reddit.com

L’attrito è un fenomeno tanto comune nella vita quotidiana quanto complesso. Capire come aumentarlo o ridurlo a seconda dell’applicazione specifica, oppure come modificarne gli effetti su materiali e superfici, è ancora un problema aperto. Un aiuto può venire dall’osservazione della natura.

L’attrito è fondamentale nella vita quotidiana anche se non ce ne rendiamo conto. Per esempio, in sua assenza non potremmo camminare senza scivolare e gli oggetti ci cadrebbero di mano. I pneumatici perderebbero aderenza e i fili dei tessuti si sfilerebbero. Tuttavia, è anche responsabile dell’usura delle superfici o del surriscaldamento e delle perdite di energia nei motori. Secondo il noto studio della commissione Jost (1966), questi effetti erano stimabili in una perdita di 300 milioni di sterline l’anno. È quindi evidente la necessità di capire come modificare l’attrito a seconda delle esigenze.

Anche se i primi studi risalgono a Leonardo da Vinci, ci sono aspetti non del tutto compresi. Mentre è chiaro che all’origine dell’attrito ci sono le forze agenti tra gli atomi delle superfici, l’effetto macroscopico è invece dato dalla somma di molteplici effetti a tutte le scale di lunghezza: dagli atomi e le forze di adesione tra molecole, al contatto tra micro-asperità, anche su superfici in apparenza lisce, includendo deformazioni elastoplastiche, l’effetto dell’umidità e del calore sviluppato, e infine l’usura, la presenza di detriti e il progressivo degrado fisico-chimico. Questo è quello che viene detto problema multiscala e multifisico, tuttora soltanto parzialmente spiegato. Ciò è tanto più complicato per le superfici reali, spesso composte da più materiali.

Senza pretendere di risolvere il problema una volta per tutte, si può cercare di capire quali effetti sono preponderanti per modificare l’attrito macroscopico. Usando l’approccio che aveva già Leonardo da Vinci, un aiuto può venire dall’osservazione della natura, frutto di milioni di anni di evoluzione: la zampa del geco è caratterizzata da microstrutture gerarchiche ramificate che migliorano l’adesione ma permettono un distacco facilitato; simili effetti sono ottenuti dalla struttura anatomica delle zampe di insetto; la pelle degli squali è costituita da squame di forma particolare per ridurre la resistenza idrodinamica; la seta della tela del ragno e i suoi ancoraggi hanno una struttura in grado di migliorare resistenza e aderenza. La lezione della natura è che si possono modificare le proprietà macroscopiche con un’opportuna strutturazione delle superfici per ottenere soluzioni ottimizzate per determinati scopi.

Come è possibile farlo nel caso dell’attrito? Questo è l’oggetto della nostra ricerca, che è principalmente teorica e numerica: si tratta di risolvere modelli matematico-fisici di contatto tra superfici per mezzo di simulazioni al computer. Gli esperimenti sono spesso costosi, così un approccio numerico è fondamentale per dare indicazioni sulle soluzioni ottimali da adottare. Per esempio, abbiamo capito che l’attrito statico secco tra due superfici lisce può essere ridotto da microstrutture quali cavità o scanalature di dimensioni e distribuzione ottimali, oppure modificato a piacimento combinando materiali con attrito diverso disposti a bande di opportuna lunghezza. Il prossimo passo è verificare sperimentalmente l’efficacia di queste soluzioni elaborate al computer.


IMMAGINI

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Gianluca Costagliola
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

22 maggio 2019

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