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Fondamenti di chimica

Identità instabili, legami imprevedibili. L’enigma dei carbenoidi nella sintesi organica

In chimica non tutto è prevedibile e definibile fin dall’inizio. L’abilità del chimico sta nel manipolare, di volta in volta a proprio favore, le reazioni tra gli elementi. A noi interessano in particolare i carbenoidi: li abbiamo eletti a oggetto principale della nostra linea di ricerca e ne abbiamo riscoperto l’utilità sintetica, soprattutto per la preparazione di composti di potenziale interesse farmaceutico.

Cosa si fa in sintesi organica? Si costruiscono molecole secondo una logica propria e ben definita della disciplina stessa volta a usare tali entità come agro-farmaci, prodotti naturali di origine vegetale, animale o fungina, o anche materiali nella più ampia accezione. Tatticamente la sintesi si fonda sulla rottura e sulla formazione dell’elemento cardine della reattività chimica: il legame. Il chimico organico, quindi, mediante disconnessioni (rotture di legami) individua e definisce gli elementi base che, attraverso un percorso razionale vengono progressivamente incorporati in uno scheletro iniziale il quale, a seguito di opportune modificazioni, fornisce il composto desiderato.

Alla base di un legame vi è la reazione tra specie elettron-ricche (nucleofili, a carica nel complesso negativa e quindi attratti dal nucleo atomico) e specie elettron-povere (elettrofili, a carica nel complesso positiva). Sebbene nel corso degli anni l’arte di preparare molecole sia stata implementata con nuovi innesti (come la cosiddetta catalisi da metalli di transizione), the beautiful simplicity nucleofilo-elettrofilo è ancora lì a costituire il principale faro cui l’occhio e la mente del chimico devono convergere per disegnare una sintesi. Ed è qui che introduciamo i carbanioni, per arrivare, tra un momento, a presentarvi la specie chimica di maggiore interesse per la nostra ricerca.

Riconosciuto meritevole del Premio Nobel nel 1912, il lavoro del francese Victor Grignard è stato (e rimane) continua fonte d’ispirazione per generazioni di scienziati: introdusse i carbanioni, una specie chimica particolarmente ricca di elettroni, la cui stabilità non è data a priori ma è funzione del tipo di atomi legati al carbonio stesso che porta la carica negativa. In altre parole si tratta di reagenti ionici a carica negativa, e quindi potenti nucleofili, la cui scoperta aprì alla possibilità a una serie pressoché infinita di elettrofili di fornire la piattaforma naturale per ottenere un loro derivato. Ovviamente non è questa la soluzione univoca e definitiva a un qualsivoglia problema. Non avrebbe ragione di esistere la sintesi se tutto fosse predicibile e definito ab initio!

Di certo, paradigma abbastanza chiaro per i chimici è una sorta di relazione antiparallela, inversa, tra reattività e selettività: più nel mio ambiente di reazione ho specie reattive, meno facile sarà individuare quella che effettivamente prende parte alla trasformazione prospettata. Si prenda, ad esempio, una molecola che contenga sia l’elettrofilo d’interesse sia altri centri elettrofili che possano competere per l’attacco del carbanione. Come mantenere il controllo sulla reazione e fare in modo che sia solo l’elettrofilo di interesse, e non gli altri, a reagire con il carbanione? È qui che entra in gioco l’abilità del chimico che deve riuscire a direzionare (selettivamente) il nucleofilo verso uno e solo uno degli elettrofili ivi presenti.

Unici in termini di proprietà chimiche sono dei particolari carbanioni, chiamati carbenoidi da Closs e Moss in una pubblicazione del 1964. I due chimici americani osservarono che essi presentavano un comportamento nucleofilo o elettrofilo in funzione delle condizioni di reazione in cui intervenivano. Come più di recente abbiamo scritto noi stessi in questo articolo pubblicato su Chemical Communications, caratteristica essenziale è la presenza simultanea di un metallo e di almeno un gruppo elettron-attrattore, di struttura generale M-CH2-X (M = metallo, X = alogeno, sia esso cloro, bromo, iodio o fluoro).

I carbenoidi sono conosciuti per essere versatili - una volta introdotti su un opportuno materiale organico il gruppo CH2X può essere di ampio utilizzo - ma, allo stesso tempo sono assai instabili. L’incertezza della loro formazione, e quindi la loro reale esistenza, è tale che di fatto essi si generino nell’istante stesso in cui devono reagire (cosiddette condizioni di Barbier). Ancora, i carbenoidi per manifestare comportamento nucleofilico necessitano di temperature molto basse (- 78 °C) che, tuttavia purtroppo ne possono compromettere la reattività. E l’incertezza del chimico aumenta!
Cambiare metallo è forse l’unico modo per modularne l’esistenza: ma, anche così, possono trasformarsi da nucleofili in elettrofili. E, nonostante possa in principio prevedersi il comportamento nucleofilo o elettrofilo in funzione del metallo, mai esso deve considerarsi un paradigma assoluto. Solo l’esperimento in laboratorio illustra il concetto di carbenoide nella sua interezza: nulla può definirsi dogmatico e definito in principio. Quando un carbenoide si installa su una molecola si attivano a cascata una serie di riarrangiamenti molecolari da scoprire di volta in volta. Da qui deriva il profondo fascino, che rapisce il chimico, ma non solo, per l’essenza stessa del concetto di carbenoide.


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Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Vittorio Pace
Laura Ielo
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

21 maggio 2020

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