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Non vi è che una sola maniera di vivere. Il ruolo delle piante e la filosofia del vivente

Foto: fukayamamo / Unsplash

Nella storia del pensiero occidentale, sull’impronta del pensiero aristotelico, alla vita dei vegetali è spesso stato attribuito una posizione di inferiorità e di prossimità al mondo inorganico. Questo almeno sino agli sviluppi della biologia e della fisiologia moderne, che hanno inaugurato una nuova concezione del mondo organico, capace di ritrovare per le piante un posto nell’unità del vivente.

Se abbandonassi la mia immaginazione alle dolci sensazioni che questa parola sembra richiamare, potrei fare un articolo che sarebbe piacevole, forse, per i pastori, ma decisamente scadente per i botanici: perciò, lasciamo da parte, per un istante, i colori sgargianti, i soavi odori, le forme eleganti, al fine di cercare, innanzitutto, di ben conoscere l’essere organizzato che le riunisce.
Jean-Jacques Rousseau, Fleur, tratto da Fragment pour un dictionnaire des termes d’usage en botanique (1781)

Non appena diamo un’occhiata alla storia della filosofia, delle scienze e della medicina, scopriamo presto che gli uomini hanno da sempre cercato di descrivere in che cosa consista la loro specificità nei confronti degli altri esseri che popolano il mondo naturale. D’altro canto, decidere quale sia il posto dell’uomo nel cosmo e nella natura è un problema che incontra la necessità umana di fare ordine tra gli oggetti naturali, organizzarli in gruppi, in gerarchie, ed è così che la filosofia e le scienze del passato e del presente hanno elaborato rappresentazioni del mondo e del vivente, nelle quali le piante occupano da sempre un posto particolare.

La filosofia aristotelica, per esempio, distingueva tre tipi di anime negli esseri viventi: l’anima vegetativa, l’anima animale e l’anima razionale. Le piante, dal canto loro, possiedono solo l’anima vegetativa e, per questa ragione, occupano il grado più basso, meno complesso e meno perfetto del mondo vivente. L’uomo, invece, è l’unico a possedere l’anima razionale e questo fa di lui l’essere meno imperfetto tra tutti i viventi, ma possiede anche un’anima vegetativa, che presiede alle funzioni vitali considerate più basilari, fondamentali, come la nutrizione e la generazione. Nella biologia aristotelica, quindi, l’anima vegetativa è così, da un lato, ciò che accomuna tutti i viventi, da quelli più semplici e imperfetti fino all’essere umano, che occupa il posto più importante nella gerarchia della natura. D’altro canto, però, il fatto che l’anima vegetativa sia anche la forma più semplice della vita condanna le piante a occupare il gradino più basso di questa gerarchia, a essere considerate come viventi al “grado zero” della vita e a collocarsi quindi ai margini del regno del vivente, ai confini con il mondo inerte dell’inorganico.

Forse per questa ragione filosofi, scienziati e medici hanno a lungo ignorato o sottovalutato le piante e, nel loro tentativo di scoprire i segreti della vita e del corpo umano, hanno preferito interessarsi alle somiglianze e alle differenze dell’essere umano con il mondo animale. È solo con l’emergere della moderna fisiologia vegetale che la pianta cessa di essere considerata come un essere che, come credevano Aristotele e Teofrasto, trae il proprio nutrimento direttamente dalla terra in cui è piantata e comincia a essere concepita come un vivente capace di processi fisico-chimici complessi: un vero e proprio “laboratorio di fisica e chimica” che trasforma la materia e l’energia tratte dall’ambiente circostante. Quella delle piante non è dunque più una vita minima o elementare, ma (cosa ben diversa) è una vita fondamentale, la cui comprensione diviene fondamentale per comprendere anche quella umana.

Nel 1878 uno dei più importanti fisiologi dell’epoca moderna, il francese Claude Bernard, pubblica le sue Leçons sur les phénomènes de la vie communs aux animaux et aux végétaux, nelle quali mostra che non vi è, di principio, una differenza tra la fisiologia vegetale e quella animale: certo, ogni individuo, vegetale o animale, possiede una propria specificità e ogni specie rappresenta una diversa soluzione ai problemi che la vita deve affrontare per affermarsi nell’ambiente; tuttavia, afferma Bernard, i principi generali su cui si fonda lo studio del vivente sono comuni: “non vi è che una sola maniera di vivere”, affermava Bernard, che governa tanto il regno vegetale quanto quello animale. Oggi, certo, la conoscenza che possediamo del mondo vivente ha raggiunto una profondità e un’ampiezza che Claude Bernard non poteva nemmeno sospettare. Tuttavia, sempre di più scienze come la biologia, la medicina o l’ecologia, ci insegnano quanto i diversi esseri viventi dipendano gli uni dagli altri e quanto il loro rispettivo benessere sia interconnesso.

La salute delle piante è dunque oggi al centro degli interessi dell’essere umano, o almeno dovrebbe esserlo. Se già il pensiero antico aveva compreso, e cercato di esprimere, l’idea che il mondo vegetale fosse alla base della vita sulla Terra, oggi sappiamo che ciò non significa che le piante vivano una vita “più semplice” o meno sviluppata di quella animale e, nello specifico, umana. La vita vegetale è un mondo di fenomeni complessi, importantissimi per ogni ecosistema, ma anche delicati e fragili. Oggi, più che mai, preoccuparsi della salute delle piante significa occuparsi della salute dell’uomo e di ogni vivente, ricordandosi che, in fondo, “non vi è che una sola maniera di vivere”.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Gabriele Vissio
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

17 luglio 2020

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