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Fantasmagoria infernale: la discesa ad Auschwitz di Primo Levi

Hieronymus Bosch, Cristo al limbo, 1490-1510.

In Se questo è un uomo, una tra le più gorgonee e sfingee testimonianze sul «buco nero di Auschwitz»1, il chimico deportato Primo Levi si reinventa scrittore e, davanti al mondo intero, diventa testimone-narratore. Ma come «dire l’orrore»2, come spiegare la vita infera del Lager a chi non ha vissuto l’inferno tra i reticolati?
Il racconto si inserisce nella Proposta di Lettura Magnifiche presenze. Visioni dantesche nella ricerca di oggi. La scelta dell'estratto della Divina Commedia e il relativo commento sono a cura del prof. Pirovano e del Comitato studentesco Per correr miglior acque.

1 - P. Levi, «La Stampa», 22 gennaio 1987, pp. x-2
2 - V. M. M. Traversi, Per dire l'orrore: Primo Levi e Dante, «Dante: rivista internazionale di studi su Dante Alighieri», 5, 2008

Così vid’i’ adunar la bella scola
di quel segnor de l’altissimo canto
che sovra li altri com’aquila vola.
Da ch’ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi a me con salutevol cenno,
e ’l mio maestro sorrise di tanto;
e più d’onore ancora assai mi fenno,
ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera,
sì ch’io fui sesto tra cotanto senno.
(Inferno IV, vv. 94-102)

Dante è giunto nel Limbo, dopo aver attraversato l’Acheronte, e qui fa la conoscenza di Omero, Ovidio, Lucano e Orazio, poeti classici in cui egli riconosce dei padri letterari. Allo stesso modo, Primo Levi, che pur confessa di aver studiato svogliatamente la letteratura a scuola, scrivendo scopre in Dante il suo maestro.

FANTASMAGORIA INFERNALE: LA DISCESA AD AUSCHWITZ DI PRIMO LEVI

Ora che ci penso, capisco che questo libro è colmo di letteratura, letteratura che ho assorbito attraverso la pelle anche quando la rifiutavo e la disdegnavo (giacché sono sempre stato un cattivo studente di letteratura italiana). Preferivo la chimica. Mi annoiavano le lezioni di teoria poetica, la struttura del romanzo e roba del genere. Quando fu il momento e dovetti scrivere questo libro, e allora avevo davvero un bisogno patologico di scriverlo, trovai dentro di me una sorta di “programma”. E si trattava di quella stessa letteratura che avevo studiato più o meno con riluttanza, di quel Dante che ero stato costretto a leggere alla scuola superiore, dei classici italiani e così via. (G. Greer, Colloquio con Primo Levi, 1985)

Così Primo Levi descriveva Se questo è un uomo, dando le coordinate della sua discesa verso il basso nell'averno polacco: l’Inferno di Dante è l’ipotesto (non il solo) che pulsa nelle vene sottocutanee di tutto il libro. Così Auschwitz diventa una realtà infera: la rappresenta una lunga fantasmagoria di reminiscenze, il mondo capovolto della morte-in-vita che, per essere raccontato e spiegato, si avvale dell’«influsso d’assieme» della letteratura, come ha scritto Domenico Scarpa, consulente letterario-editoriale del Centro Studi Internazionale Primo Levi di Torino. Perché, come si dice nei Sommersi e i salvati, il Lager è «una verità dal volto di Medusa», pietrifica al solo sguardo.

Mario Barenghi, docente di Letteratura italiana all’Università Milano Bicocca, ha scritto che in Levi il discorso richiama in vita gli eventi passati - scenari, personaggi, azioni, stati d’animo - e ne costituisce un adeguato equivalente. «E tale insieme di informazioni, per essere conservato, deve essere modificato», dove "modificare", intende «dare forma, conferire una modalità di esistenza». La Divina Commedia, ricca di figure cariche di pathos, è la fonte che Levi sceglie per modellare il proprio racconto, grazie all’immaginifica passione impressa che i suoi versi offrono3: l’universo concentrazionario, nella cronaca del Lager e nelle sue riprese, si dissemina di demoni, mostri ed eroi provenienti dai mitici primordi dell’antichità, modellati secondo l’epica cristiana della Commedia dantesca. Come una maschera, il loro simbolismo figurativo si adagia sul volto della memoria e la predispone per il lettore, plasmandola con «archetipi culturali» (N. Frye) e miturgie (ri-narrazioni del mito), da Se questo è un uomo fino ai Sommersi e i salvati.

Lo prova il Caronte tedesco, che «invece di gridare “Guai a voi, anime prave” ci domanda cortesemente a uno a uno, in tedesco e in lingua franca, se abbiamo danaro od orologi da cedergli: tanto dopo non ci servono più». O Pannwitz, l’algido e ario doktor che interroga Levi nell’esame di chimica mentre «siede formidabilmente dietro una complicata scrivania», inquisendo il dannato come l’infernale Minosse. Oppure ancora i «barbarici latrati dei tedeschi quando comandano», calcati sulla reminiscenza del Cerbero dantesco: «fiera crudele e diversa, / con tre gole caninamente latra / sovra la gente che quivi è sommersa». Per arrivare a Ulisse, che vide «la prora ire ingiù, come altrui piacque»: il suo «folle volo», spiega Levi a Pikolo nel capitolo “il canto di Ulisse”, è un «inaspettato anacronismo, ed altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell'intenzione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui...».

Il mio progetto di ricerca colleziona e analizza queste ricorrenze del mito, tenta di desumere l’idea che Levi ne aveva osservandone da vicino l’impianto intertestuale, visuale, retorico e letterario. Oltre, ovviamente, a registrare e considerare la ricezione contemporanea dell’antico, tentando di rintracciarne la fonte e scoprendone l’influenza sulla tecnica narrativa e sull’immaginario del chimico-scrittore.

3 - ovvero quell’emozione che rimane nell’animo dopo un sogno pur avendone persa la memoria, Par., XXXIII, 59


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