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Culture, Produzione culturale e artistica, Filosofia

Memorie tedesche del ‘900: tra eventi traumatici e costruzione dell’identità

Fotogramma tratto dal film Good Bye, Lenin!

Memoria individuale e collettiva non sono più atti spontanei e necessari, ma costruzioni socio-culturali soggette al tempo e al vissuto personale, tramandate per lo più in forma scritta: performance che influenzano la ricezione della Storia. Con quali strategie compaiono nel testo letterario? E nella narrazione orale autobiografica?   

[…]
Forse non ci sono campi se non di battaglia,
quelli ancora ricordati,
quelli ormai dimenticati,
boschi di betulle e boschi di cedri,
nevi e sabbie, paludi iridescenti
e forre di nera sconfitta,
dove per un bisogno impellente
ci si accuccia oggi dietro un cespuglio.
Qual è la morale? - forse nessuna.
Di certo c’è solo il sangue che scorre e si rapprende
[…]
(W. Szymborska, La realtà esige, 2009)

Il recente passato delle contrade mitteleuropee così come delle pianure polacche è segnato da stragi sanguinose: la terra gronda di sangue, ma tendiamo a dimenticarlo. I poeti e gli scrittori ce lo rammentano con gli strumenti della lingua letteraria, primo fra tutti la poesia, ma anche la prosa e il dramma. Le loro opere palesano le dicotomie prodotte dai totalitarismi che hanno segnato il XX secolo: ragione / torto, vittime/carnefici, complici/oppositori. Ma la memoria è un patrimonio dalla codifica tutt'altro che semplice: spesso emerge in modo inconsapevole, non mediato dalla ragione e dunque destinato a rimanere tale. Per comprenderne i significati occorre conoscere i fatti, addentrarsi nei meandri della storia, intrufolarsi nei vissuti individuali di cui si compone - in mille sfaccettature prismatiche - la memoria collettiva.

Gli stessi protagonisti vittime dei regimi, a più di 70 anni dalla fine della guerra, tramandano i propri vissuti - spesso frammentari, taciuti per l’incomprensione o per il timore di vendetta dei vincitori - mediante narrazioni orali autobiografiche. Sono storie che parlano di fughe, prigionie, distacchi familiari lunghi e dolorosi - anche di bambini e ragazzi dai propri genitori - traversate per mare e per terra, talvolta a piedi, in fuga da guerre e rappresaglie.

La memoria narrativa intorno al “doppio passato tedesco” (Auschwitz e l’occupazione sovietica nei territori tedesco-orientali o le aporie della Repubblica Democratica Tedesca), spesso articolata nel discorso intergenerazionale, assume le forme della performance, intesa come relazione esistente tra narrazione di eventi traumatici e costruzione dell’identità. Essa si caratterizza per l’alto contenuto emotivo delle espressioni verbali, seguendo strategie narrative (sintassi frammentata, ripetizioni, anacoluti, assunzione di una prospettiva esterna all’io narrante), discorsive (salti intonativi, pause) e comunicativo-retoriche, prima fra tutte il silenzio, ma anche la rievocazione di un idillio “pastorale” di luoghi giovanili e di tutto il passato recente quale sintomo della rimozione degli eventi traumatici. Quest’ultimo aspetto, se non adeguatamente supportato dall’analisi e dall’interpretazione consapevole di quelle narrazioni, può portare all’oblio collettivo. Il racconto infatti è un processo interattivo e cooperativo tra chi narra e chi ascolta/legge e funziona dialetticamente, poiché predispone a un confronto positivo con l’Altro, mettendo in relazione la Storia e le storie con gli eventi della nostra attualità.

La ricerca raccontata è svolta dal Gruppo di Germanistica dell'Università di Torino: Marcella Costa, Lucia Cinato, Gerhard Friedrich, Riccardo Morello, Daniela Nelva, Isabella Amico di Meane, Emanuela Ferragamo e Silvia Ulrich.


IMMAGINI

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Silvia Ulrich
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

23 gennaio 2019

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