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Culture, Produzione culturale e artistica, Filosofia

Storia di una scrittrice sconosciuta. L'unicità di Violette Leduc

Per via del suo stile non classificabile nel coevo filone esistenzialista, né in altri filoni della letteratura, questa scrittrice è tutt‘oggi sconosciuta ai più. Affascinata dalla sua persona, e con l’intento di valorizzare questa inclassificabilità, ho deciso di dedicarle il mio percorso di dottorato.

Il pensiero più ricorrente che riesco a scorgere sui volti delle persone quando, parlando del mio progetto di ricerca, evoco il nome di Violette Leduc, non lascia quasi mai margine di errore... E CHI È VIOLETTE LEDUC?!
Certo, non posso dirmi stupita, del resto, circa due anni fa, mi trovai a pormi la stessa domanda e, forse, me la pongo ancora adesso che ho deciso di dedicare i miei studi a quella donna conosciuta per caso in una libreria del centro di Torino mentre ero ancora studentessa universitaria.

Questo piccolo racconto è in effetti un pretesto per parlarvi di una scrittrice che il mondo letterario ha imparato a conoscere e ad apprezzare solo dopo la sua prematura morte e soltanto relativizzando il suo lavoro a una scintilla schizzata fuori all'improvviso dall'autorevole, e ben più noto filone della letteratura esistenzialista.
Violette Leduc resta un capitolo oscuro nella storia letteraria francese, inclassificabile; ed è proprio questo il motivo per il quale ho deciso di intraprendere un percorso dottorale su di lei: per cercare in ogni modo di avvalorare, attraverso la mia ricerca, questo suo statuto di inclassificabilità.
È stato grazie alla travagliata vita di Violette Leduc trascritta nella biografia omonima a cura di Carlo Jansiti che la mia ricerca è cominciata. Thérèse, Andrée, Violette Leduc nasce in primavera, ad Arras, nel 1907. Per lei, figlia illegittima di un giovane di buona famiglia, André Debaralle, e della sua domestica, Berthe Leduc, non fu facile intraprendere la vita di scrittrice. Quella vita, sognata, la comincerà soltanto nel 1940, immersa nel verde della Normandia quando, sotto un melo, lontana dai timori della guerra, Maurice Sachs la invita a prendere quaderno e penna e a raccontare quell'infanzia che tanto l'aveva tormentata.

Mia madre non mi ha mai dato la mano... Così scrive Leduc nel 1946 in L'Asphyxie il suo lavoro di esordio, lavoro che proseguirà fino al 1973, data della pubblicazione postuma del suo ultimo romanzo La Chasse à l'amour.

L'asfissia, La caccia, ogni titolo scelto è un tassello di vita che va a riempire pagine dense di significato in un'insolita armonia tra lo stile barocco e l'essenzialità del linguaggio delle cose di pura matrice avanguardista. Quella di Leduc è letteratura dello scandalo, dell'eccesso, di quella parte maledetta, cara a Bataille, che mette l'uomo di fronte alla miseria di cui è fatta la sua stessa vita.
Ma è anche letteratura della libertà, quella leduchiana, la libertà di scrivere d'amore senza nascondersi dietro alle parole, accettando il rischio della censura senza piegarsi a qualsivoglia perbenismo di facciata.

A-morale, irriverente, controversa, incomprensibile, paranoica, Violette Leduc ha gettato il seme per un nuovo modo di scrivere il femminile, nutrendosi dell'importate appoggio dei filosofi esistenzialisti, Simone de Beauvoir in particolare, ma con la straordinaria capacità di sporcarsi le mani della materia con cui è fatto il dolore di ogni donna.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Luana Doni
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

26 ottobre 2018

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