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Il potere delle parole di Wislawa Szymborska e il loro suono

"La poesia deve superare l’ovvietà e darle un’altra dimensione”, affermava la poetessa polacca. Lei lo ha fatto usando concetti o elementi linguistici in modo inconsueto. Talvolta usando la fonetica: un apparente ordine dato dall’armonia sonora contrasta con la difficoltà di comprendere il mondo

Molto si è scritto sulle ragioni del fascino della poesia di Wisława Szymborska: il linguaggio quotidiano, apparentemente semplice e accessibile, i temi in cui ci si immedesima facilmente, la sottile ironia e l’apparente leggerezza, il senso dell’umorismo, la capacità di sorprendere e divertire in un raffinato “equilibrio tra quotidianità e straordinarietà, colloquialità e poeticità, tra ciò che viene detto e come viene detto”, come scrisse Stanisław Barańczak, critico letterario polacco.

In un’intervista, Szymborska asserì che “la poesia deve superare l’ovvietà e darle un’altra dimensione”. A tal fine l’autrice ricorre a diversi espedienti, tra cui l’uso inconsueto, estraniante, di un elemento linguistico, un modo di dire o un concetto. Talvolta, seppur pacatamente, sfrutta anche l’aspetto fonico, come nell’inizio di “Compleanno”, una delle sue rare poesie in cui la struttura metrica è estremamente regolare e le allitterazioni hanno un ruolo primario (vedi allegato). L’enumerazione ridondante nei primi versi raffigura l’entusiasmo per la ricchezza e varietà del mondo, a cui segue però l’impossibilità di coglierne appieno i doni e la consapevolezza della brevità di ogni esistenza. Per esprimere tale contraddizione l’autrice crea l’armonia sonora che domina la prima parte e dona un ordine apparente al caos, per poi attutirla in una riflessione in cui al desiderio di sistemare, possedere, subentra la difficoltà di comprendere il mondo e il timore di perdere tutto. Inaspettatamente, con uno sguardo obliquo che sottolinea la mancanza di gerarchie dell’universo, i sentimenti del soggetto lirico vengono infine proiettati su un’esile pianticella “sprezzante e precisa, fragile e altera”.

Szymborska disse che spesso scriveva le sue poesie iniziando dalla fine. E difatti è come se decidesse prima l’idea da trasmettere e poi cercasse il modo per farlo, spesso creando un gioco ermeneutico che richiede la partecipazione attiva del lettore nel decifrare un senso inatteso. L’incantesimo della meraviglia desta desidero di conoscenza, ma al contempo evidenzia la caducità delle cose. Nel tutto si insidia l’abisso del nulla. Allora quello che pare solo un gioco gioioso svela il suo fondo amaro. Eppure questo nulla viene infranto dal miracolo della vita. E questo crea la straordinarietà del quotidiano.
In "Le tre parole più strane" il nulla viene superato e addomesticato dalla parola, il silenzio trasformato in suono:

Quando pronuncio la parola Futuro
La prima sillaba va già nel passato.
Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.
Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualcosa che non entra in alcun nulla.

Questi versi rendono lo scorrere inesorabile del tempo, ma anche la potenza magica della parola. Szymborska in tono minore, come suo solito, descrive tale potenza al termine di "La gioia di scrivere" con: “Il potere di perpetuare. / La vendetta d’una mano mortale.”
A salvarci dal tragico, o almeno ad attutirne il peso, è quindi un arguto umorismo.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Krystyna Roza Jaworski
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

22 marzo 2018

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