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La mente umana e la sua complessità, Educazione e Linguaggio

Capire e immaginare: imagery visiva e comprensione del linguaggio

Se una frase contiene parole che evocano immagini è più facile comprenderla: nel nostro cervello si attivano alcune aree che sono attive anche quando vediamo qualcosa e riconosciamo ciò che vediamo

In una precedente ricerca di neuroimmagine sulla comprensione del linguaggio diretta da Stefano Cappa presso l'Università San Raffaele di Milano, avevamo trovato un risultato anomalo: anche in compiti puramente linguistici, come associare una parola alla sua definizione, si attivavano aree del cervello "visive", cioè tipicamente attive quando una persona vede qualcosa e riconosce ciò che vede. Questa stranezza poteva essere spiegata in vari modi. Un'ipotesi era che le aree visive si attivassero perché, mentre comprendevano una definizione, i soggetti dell'esperimento "immaginavano" qualcosa, cioè formavano immagini mentali. Se così fosse stato, allora avrebbe dovuto esserci una differenza importante tra parole che evocano immagini (“banana”, “sedia”, “tigre”) e parole meno evocative ( “democrazia”, “speranza”, “primo”): alle prime avrebbe dovuto corrispondere un'attivazione significativa di aree visive, alle seconde no.
La nostra nuova ricerca intendeva appunto stabilire se l'"immaginabilità" associata alle parole, e quindi alle frasi, faceva una differenza per le aree visive del cervello. Abbiamo quindi sottoposto 16 volontari alla risonanza magnetica funzionale mentre cercavano la parola corrispondente a una definizione: alcune definizioni erano molto "immaginabili", e lo era anche la parola da trovare; altre definizioni non erano "immaginabili" ma la parola da trovare lo era; e così via per tutte le combinazioni, alternandole in modo equilibrato per ciascun soggetto. Quello che abbiamo trovato è una notevole differenza per quanto riguarda le definizioni: alle definizioni poco "immaginabili" corrisponde un'attivazione trascurabile delle aree visive, mentre l'attivazione è molto più intensa con le definizioni "immaginabili". Significativamente, le aree che in particolare si attivano sono quelle caratteristiche dell'imagery visiva, che cioè si attivano quando si chiede a una persona di cercare di "vedersi" qualcosa.

La nostra ricerca ha anche confermato un risultato già noto: le parole "visive" sono più facili da elaborare di quelle non visive. Le prestazioni dei soggetti, infatti, erano più precise e più veloci con le parole "visive" che con le altre. È facile raggiungere la conclusione che l'immaginazione visiva, anche inconsapevole, aiuta la comprensione del linguaggio. Ma allora, si dirà, i non vedenti sono linguisticamente svantaggiati? È infatti naturale supporre che i non vedenti (almeno quelli congeniti) siano incapaci di immaginazione visiva. Ma, per fortuna, i non vedenti non risultano essere svantaggiati nella comprensione del linguaggio. Non solo: alcuni esperimenti sembrano indicare che, quando comprendono il linguaggio, anche i non vedenti presentano le attivazioni che noi chiamiamo "visive". Si tratta forse di attivazioni che corrispondono a rappresentazioni più astratte rispetto alla presunta imagery visiva? Non potrebbe, in realtà, essere così anche per i vedenti? È ciò che cercheremo di capire nel nostro prossimo esperimento.

un racconto di
Diego Marconi
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

23 febbraio 2017

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