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La mente umana e la sua complessità, Educazione e Linguaggio

Quando la realtà virtuale ti cambia la vita

Quella che vi racconto qui è la mia storia (tortuosa), la mia evoluzione come ricercatrice riflette l’evoluzione della mia ricerca: dalle illusioni visive a complesse manipolazioni sperimentali, fino all’incontro decisivo con la realtà virtuale immersiva. È questo il mio lieto fine

Durante il mio tirocinio presso il Dipartimento di Psicologia dell'Università di Torino partecipai alla realizzazione di uno studio sul comportamento delle persone sane durante illusioni percettive. È stata la mia primissima esperienza nel mondo della scienza e, nonostante i pessimi risultati di questo studio, è così che ho capito cosa mi piaceva fare, cosa mi ispirava e in cosa mi sentivo portata: la ricerca. Capii quindi che dovevo fare un dottorato: vinsi un posto presso il Dottorato in Neuroscienze dell'Università di Torino, ma ahimè senza borsa, ovvero senza stipendio. Questa è stata la mia condanna e anche la mia più grande occasione: nei primi mesi del 2013, partecipai a ogni bando per giovani ricercatori che trovavo in rete o di cui ero a conoscenza, richiesi fondi e finanziamenti tramite i più svariati mezzi, passai più tempo a fare fundraising per la mia ricerca che a lavorare sulla mia ricerca.

Finalmente, vinsi grazie a Fondazione Goria e CRT una borsa di ricerca sullo studio della rappresentazione corporea e motoria in condizioni patologiche con i pazienti neurologici e nei soggetti sani tramite manipolazioni sperimentali. Ebbi inoltre la possibilità di lavorare per 6 mesi in un importante centro di ricerca a Barcellona, dove ho scoperto ed imparato la tecnica della realtà virtuale immersiva, una tecnologia all'avanguardia che consente di immergersi in un mondo virtuale ma soprattutto in un corpo virtuale. Dove cose che nel mondo fisico sono impossibili diventano realtà. È in un certo senso il non plus ultra delle illusioni percettive! In un primo studio con la realtà virtuale, abbiamo scoperto che se il corpo virtuale esegue dei movimenti diversi da quelli che il soggetto sta eseguendo, si tende a copiare i movimenti del "proprio" corpo virtuale.

Di ritorno a Torino e nuovamente senza borsa, decisi che volevo combinare il mio background in neuropsicologia con la tecnologia appena appresa della realtà virtuale: è così che vinsi nuovamente la stessa borsa, col cofinanziamento di Fondazione Molo. L’idea è semplice: se in realtà virtuale si possono fare cose che nel mondo fisico non sono possibili, allora una persona immobilizzata vedrà il suo corpo virtuale muoversi e interagire col mondo circostante; questo attiva nel cervello del paziente gli stessi circuiti che si attivano quando si osserva qualcuno compiere un’azione, ma in questo caso si osserva il proprio corpo virtuale. La ripetuta esposizione a un training motorio in realtà virtuale induce nel paziente una sensazione di movimento che facilita il recupero funzionale del movimento stesso.
L’idea, a ben pensarci, non è così semplice, ma è decisamente accattivante, e non sono l’unica a pensarlo: quest’anno ho vinto il premio Giovedì Scienza e il premio Aldo Fasolo proprio raccontando questi studi.
Quando all’inizio ho detto che la mia è una storia a lieto fine mi sbagliavo: non è finita e il meglio deve ancora venire.

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