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La mente umana e la sua complessità, Educazione e Linguaggio

Dal fondo dei pozzi ai tetti di Torino: le lune dei cantautori italiani

Mutevole, sibillina, assente o in ascolto, testimone d’amore ma anche motivo di introspezione o emancipazione sociale, la luna è una presenza costante nei testi dei cantautori italiani, fino a diventare essa stessa espediente per il canto. Quante e quali sono le lune dei cantautori? In quali vesti e con che funzione compaiono?

C’è quella «in fondo al pozzo» di De Gregori e quella «morta piccola» o che «tesserebbe i capelli e il viso» di De André. C’è la luna che «con un mucchio di stelle cade per strada» (Anna e Marco, Dalla) e la Signora luna di Capossela che può spiegare «dov’è la strada che porta a lei». A volte, con la «faccia da strega» (Lolli), ha portato «la disperazione tra gli zingari» (Dalla), altre volte tiene su la vita «con un paio di bretelle» (Brunori). C’è poi quella grande, che si srotola sopra i tetti di Torino come «un gomitolo di lana che cammina» (Testa).

Nella tradizione cantautorale italiana la luna è una presenza costante e mai banale: elusiva, dalla luce variabile, riflesso di inafferrabili sentimenti e di enigmatici mutamenti, ha illuminato alcuni dei momenti migliori della carriera dei singoli artisti. È il caso di Francesco De Gregori, le cui lune sono insolite, originali, talvolta sibilline: «Alice guarda i gatti/e i gatti girano nel sole,/mentre il sole/fa l’amore con la luna», Alice; «E una luna e dei fuochi alle spalle», Pezzi di vetro; «Se ci fosse la luna/si potrebbe cantare», Quattro cani; «C’è la luna sui tetti,/c’è la notte per strada, Natale; «Viva l’Italia,/l’Italia sulla luna», Viva l’Italia; «Su questo mare nero come il petrolio,/ad ammirare questa luna metallo», Titanic.

A volte la sua presenza restituisce frammenti dall’elevato contenuto lirico: «Quanto sei bella Roma quann’è sera,/quando la luna se pecchia dentro ar fontanone», Roma Capoccia; «Tuo padre sembra Dante e tuo fratello Ariosto,/stasera al solito posto la luna sembra strana,/sarà che non ti vedo da una settimana», Notte prima degli esami (Venditti). Testimone d’amore («Ricordi via Roma/la luna rideva/lì ti ho scelto e voluto per me», Capossela, Modì), talvolta assume tratti antropomorfi («A questa luna tranquilla,/che si siede dolcemente», De Gregori, Raggio di sole). Può allora diventare privilegiato interlocutore («Parlavi alla luna giocavi coi fiori/avevi l’età che non porta dolori», De André, Leggenda di Natale), motivo per interrogarsi sul senso della vita («Così parliamo delle distanze e del cielo/e di dove andrà a dormire la luna/quando esce il sole», Dalla, Chissà se lo sai) fino a essere strumento di introspezione silenziosa («’Na stella guarda a luna,/cull’uocchie de guagliune/s’interroga si ammore/è fantasia do core», Testa, ’Na stella). La sua assenza è invece emblema di inquietudine, smarrimento e sinistri presagi («Nera di malasorte/che ammazza e passa oltre,/nera come la sfortuna/che si fa la tana dove non c’è luna», De André, Dolcenera).

Compare in suggestivi immaginari di ribellione, specie se in un quadro di denuncia sociale: «Ho visto anche degli zingari felici/in Piazza Maggiore/ubriacarsi di luna,/di vendetta e di guerra», Lolli, Ho visto anche degli zingari felici. Non mancano allora messaggi di libertà ed emancipazione: «Ma tu dicevi: “Il cielo è la mia unica fortuna/e l’acqua dei piatti non rispecchia la luna”», De André, Il fannullone.
Da segnalare infine il rapporto privilegiato e altamente enigmatico tra il satellite e il canto: «Senza le mie canzoni/che morivo per farle nelle notti di luna» (Vecchioni, Momentaneamente lontano), «I musicanti accordano il violino,/stasera suoneranno sulla luna», «Se ci fosse la luna/si potrebbe cantare» (De Gregori, rispettivamente I musicanti e Quattro cani)

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Luca Bellone
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

26 agosto 2019

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