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Processi sociali e politici, Legge e Comunicazione

La salute vien mangiando... e raccontando! Passeggiata semiotica nelle cibosfere di oggi

Foto: Daria Shevtsova / Pexels

Il cibo si inserisce in una fitta rete di pratiche e discorsi che ne modellano percezioni, immaginari e valori. Pensiamo ad esempio a ciò che ruota intorno al “naturale” o al senza glutine. Sulla cucina e sulle diete si generano infatti meccanismi che hanno molto a che vedere con le variazioni culturali e la capacità dei mezzi di comunicazione di originare, confermare e/o scardinare rappresentazioni socialmente condivise. In questo senso, la semiotica svolge un ruolo di analisi cruciale per aiutarci a comprendere le nostre percezioni e scelte alimentari.

Oltre alla dimensione fisiologica, legata al sostentamento del corpo, l’alimentazione rappresenta un vero e proprio sistema di comunicazione ed espressione dell’identità socioculturale. Ciò che mangiamo - e, sempre più spesso, ciò che non mangiamo - dice molto su chi siamo e non siamo, chi vogliamo e non vogliamo essere, con chi vogliamo identificarci e da chi vogliamo distinguerci. E non si tratta solo di questo: il cibo si inserisce in una fitta rete di pratiche e discorsi che ne modellano percezioni, immaginari e valori, innescando una serie di dinamiche particolarmente interessanti dal punto di vista dei processi di produzione e circolazione del senso. Questo riguarda la cucina, la tavola e anche la dietetica. Sebbene tenda a essere percepita come una sfera eminentemente governata da fattori materiali, anche quest’ultima, infatti, è retta da una serie di meccanismi che hanno molto a che vedere con l’attribuzione di significati e valori - e quindi con le variazioni culturali, da un lato, e con la capacità dei mezzi di comunicazione di originare, confermare e/o scardinare particolari rappresentazioni e immaginari collettivi, dall’altro.

Basta guardare alla storia dell’alimentazione per rendersene conto: se, da una parte, il legame tra cibo e salute è stato al centro del pensiero medico sin dall’antichità (si pensi, a titolo esemplificativo, al ruolo dell’alimentazione nel corpus ippocratico), dall’altra i modi in cui tale legame è stato concepito e i modelli a cui ha dato origine sono molteplici ed estremamente variegati. Fino alla metà del XVII secolo, ad esempio, in Europa il ciclo alimentare, al pari di altri cicli vitali, si reggeva sulla metafora della “cottura”, con conseguente predilezione di cibi “caldi”, secondo il sistema di classificazione dell’epoca, modellato proprio sulle opposizioni caldo/freddo e secco/umido. Una dieta “sana” raccomandava allora sostanze quali il pudding e condimenti medievali come la salsa camelina, che conteneva varie spezie e accompagnava solitamente arrosti e bolliti.
Dopo il 1650, tale metafora fu sostituita da quella della “fermentazione”, legata ai processi di distillazione e interazione tra acidi e sali, con preferenza per alimenti crudi e freddi quali le ostriche, le verdure, i funghi e diversi frutti.

Tali dinamiche assumono un interesse ancora maggiore nelle cibosfere contemporanee, popolate da una varietà di “miti” o "meta-linguaggi" in grado di naturalizzare particolari visioni e ideologie dell’alimentazione e della realtà che ci circonda. Pensiamo, ad esempio, al diffuso bando del glutine (spesso del tutto slegato da diagnosi mediche riferite a patologie scientificamente riconosciute), alla condanna indiscriminata di tutti i prodotti geneticamente modificati (perché “contro natura”), all’elogio del cibo biologico “senza se e senza ma”, all’accesa battaglia tra carnisti e sostenitori di modelli di alimentazione veg, ecc.
Si tratta di questioni indubbiamente legate a importanti parametri materiali, i quali, tuttavia, risentono in larga misura dei processi di valorizzazione e (ri)semantizzazione innescati da diversi miti contemporanei. Tanto più nella gastromania contemporanea, dove il cibo non viene più semplicemente mangiato, ma anche - e soprattutto - raccontato, rappresentato, commentato, spettacolarizzato, al crocevia tra istituzioni pubbliche, media, operatori di marketing e vari altri attori pubblici e privati che ne negoziano incessantemente significati e valori.

In questo senso, un approccio semiotico, quale quello che adotto nelle mie ricerca, svolge un importante ruolo di osservazione e analisi: non è sufficiente individuare tali dinamiche, ma occorre “decifrarle”, svelarne i meccanismi di funzionamento e gli effetti di senso. Nell’ambito del mio attuale progetto Marie Curie Communication for Food Protection (COMFECTION), ad esempio, sto studiando il modo in cui la comunicazione online sembra favorire i diffondersi di alcuni cosiddetti “miti alimentari” (dagli OGM al bio, dalle diete aglutinate al consumo - o meno - di alimenti derivati da animali), con specifico riferimento al nesso tra alimentazione e salute.

Si tratta di questioni spesso legate ad altri aspetti fondamentali degli attuali scenari mediatici, dalla diffusione delle fake news allo sviluppo di vere e proprie teorie del complotto. Rivolta ad esse, la lente del “microscopio semiotico” può aiutarci a comprendere meglio le nostre percezioni e scelte in ambito alimentare, abbracciandone la complessità e dotandoci degli strumenti necessari a leggere in modo nuovo i differenti discorsi e le varie pratiche che proiettano sull’alimentazione le ideologie e i valori più diversi. Perché se è vero che la salute vien mangiando, è a tutti gli aspetti dell’alimentazione - e in particolare a quelli meno tangibili e immediatamente evidenti - che dobbiamo guardare per assicurarci di “mangiare bene”.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Simona Stano
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

21 ottobre 2020

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